A qualcuno piace Marylin: tra seduzione e fragilità celate

L’intervista impossibile alla bionda più celebre del cinema mondiale, icona assoluta di bellezza e stile dal fascino intramontabile

Quando per la prima volta incontrai all’aeroporto di Fiumicino Yves Montand accompagnato dalla moglie Simon Signoret, ospite d’onore per la prima italiana del film Z  – L’orgia del potere di Costa Gavras, parlando in macchina della sua carriera, gli chiesi se erano poi vere le chiacchiere dei “gossippari” sulla sua liason  con Marilyn Monroe.  Lui mi rispose che quelle chiacchiere scoppiarono quando sua moglie dovette tornare per lavoro a Parigi, dove tornò di fretta anche lui per smorzare quelle voci.  «Marilyn era bellissima e impossibile resisterle», mi disse con velo di malinconia.

Invece Marlon Brando, un altro simbolo al maschile di quel cinema degli anni cinquanta, nella sua biografia appena rieditata, non solo confermò la relazione intima fra lui e Marilyn, entrambi allievi all’inizio della  loro carriera dell’Actors Studio di New York, diretto allora da Elia Kazan prima e da Lee Strasberg poi, ma confermò che a Los Angeles entrambi famosi anni dopo, ricevette un invito a cena da Marilyn dove non poté  andare perché  impegnato sul set di un film, la stessa sera che la Monroe si suicidò. «Forse, se avessi accettato quell’invito, sarebbe ancora viva e comunque nella nostra chiacchierata a telefono non mi sembrò affatto una persona depressa che stava per uccidersi». E oggi a distanza di sessant’anni da quel 4 agosto del 1962 che la vide vittima a soli 36 anni, la vita, i film, gli amori e soprattutto il successo, il passare del tempo non ha impedito che Norma Jeane Mortenson Baker, nota nel mondo come Marilyn Monroe continui ad essere la bellissima bionda più famosa dell’immaginario collettivo, simbolo della cultura popolare e una stella rara nel firmamento del cinema.

«Una carriera, diceva, si fa in pubblico, ma il talento si costruisce nella vita privata».

Nata il primo giugno del 1926 a Los Angeles, all’età di sedici anni, Marilyn Monroe sposa un vicino di casa, James Dougherty, un ufficiale di polizia di Los Angeles, ma durerà solo quattro anni, poi nel 1954 convolerà a nozze con il celebre campione di baseball Joe DiMaggio e nel 1956 con il drammaturgo Arthur Miller, ma nessuno alla fine la salvò da quella sottile quasi invisibile sofferenza che spariva solo quando recitava. «A volte, penso che sarebbe meglio evitare la vecchiaia e morire giovani», diceva!

Marylin Monroe è stata la protagonista di film immortali come Niagara e Come sposare un milionario.  Hollywood e il pubblico furono “rapiti” dal suo corpo e da quel viso, sentirla cantare seduta sopra un pianoforte ne La magnifica preda, nel ruolo di una sensuale starlette in Giungla d’asfalto o nel film più vicino a sé stessa come in Fermata d’autobus.

Dobbiamo a Marilyn Monroe, il ricordo indelebile di una maschera di seduzione che lei stessa aveva abilmente creato, una sorta di alter ego che emanava da tutti i pori della sua pelle, sensualità  e ironia, facendosi perdonare anche quando sbagliava come l’imbarazzante canzoncina di buon compleanno cantata davanti al presidente Kennedy alla Casa Bianca, avvolta nell’iconico e provocante vestitino  color crema  disegnato dallo stilista  Bob Mackie, oggi proprietà di un collezionista giapponese che se lo è accaparrato a un’asta di beneficenza.

Sensualità e pietà nella stessa misura a volte divertente a volte drammatica, dovuta certo anche alla sua bravura innata di attrice nei ruoli disegnati su misura dagli sceneggiatori come i suoi vestiti o anche come star, quando più vamp che mai in una aderente tuta militare andava in Corea a rendere meno pesante le giornate di guerra dei giovani marines. Marilyn, sapeva farsi perdonare anche quando sbagliava, ma, sapeva anche pagare quando la vita la tradiva.

«Se avessi rispettato tutte le regole», disse in un’intervista ad Hollywood Reporter, «non sarei arrivata da nessuna parte, in fondo non sono mai stata abituata alla felicità, pensavo potesse arrivare con il matrimonio».

Una cosa è certa, Marilyn, non amava rispondere alle domande costruite da chi l’intervistava con quella finta leggerezza imposta dallo star system, non era una di quelle bionde “stupidine” da copertina che poi si vedevano sul grande schermo e a Hollywood la sua prima ammiratrice fu proprio la nostra brava Anna Magnani che la conobbe mentre girava con Burt Lancaster La rosa tatuata.  Marilyn, disse, era una donna da vedere, da amare, da ammirare e quelli che amano ancora oggi i suoi film, sognano ancora le sue lunghe gambe avvolte nelle calze a rete così come comparivano in Fermata d’autobus. «Da bambina, nessuno mi diceva che ero bella».

Era la Marilyn non ancora Monroe cresciuta con la madre in manicomio e un padre anonimo e assente, era la Marilyn che trascorreva la sua infanzia tra varie famiglie adottive, la Marilyn degli orfanotrofi dove per sopravvivere lavorava in cucina come lavapiatti.

Anni dopo, venne “tirata fuori” da quei posti orrendi da una cara amica della madre che la crebbe come una figlia vedendo in lei la stessa bellezza di Jean Harlow, famosa attrice del cinema dell’epoca.

Quando dovette poi affrontare la vita da sola si sposò portando in dote un libro su Abramo Lincoln e nel 1945 arrivò inevitabilmente il primo divorzio. Nel 1947 vinse un concorso di bellezza ed anche il primo contratto con la 20th Century Fox e cominciò a “vivere” sullo schermo con il nome di Marilyn Monroe, dividendo un piccolo appartamento con la giovane Shelley Winter e fra le sue prime amiche in quella Hollywood che l’aveva adottata c’erano anche Ava GardnerRita Hayworth e l’emergente idolo delle teenager Frank Sinatra, con il quale ebbe una breve relazione.

Rapito anche io dai suoi film e da lei stessa, ho immaginato di incontrarla e intervistarla in Italia, il paese di origine del suo secondo marito Joe DiMaggio, più esattamente ad Alba in Piemonte, magari seduti sulla veranda coperta di uva in una caratteristica trattoria, assaporando un gustoso piatto di fettuccine al tartufo, accolta da una folla impazzita quando accettò l’invito per l’annuale Fiera Internazionale del tartufo bianco.

 Joe dimaggio le aveva parlato dell’Italia.

Amo l’Italia e gli italiani.  A Los Angeles i con Joe andavamo in un cinema a vedere i film di Rossellini e De Sica. Ad Alba fu la prima volta, un bel ricordo, ho visitato il Piemonte, sono stata anche a Saint Vincent, ma il sapore di quei tartufi mi è rimasto dentro. Anna Magnani mi parlava di Roma, avevo visto i suoi film. Quando sono stata ad Alba era autunno, alloggiavamo con un gruppo di amici presso l’Hotel Savona e il sindaco mi presentò a Roddi una frazione vicina, Giacomo Morra il principe dei ricercatori di tartufi. Furono tutti gentili! Pensi che allestirono per me un tendone in piazza e anche un piccolo palcoscenico.  Fu un soggiorno indimenticabile. Di solito, il successo fa si che alla fine molta gente ti odi mentre ad Alba sono stata veramente felice, la sera ho perfino ballato in piazza ed ho capito che la felicità non abita certamente sullo schermo ma è dentro di noi e non necessariamente al fianco di qualcuno.

Ma tornando a quella Hollywood, l’inizio non fu proprio con la Fox, ma con la Universal anche se ancora oggi all’ingresso della Fox c’è ancora un’enorme murales con la sua immagine in Quando la moglie è in vacanza.

Nel 1949 recitai per la Universal in un piccolo ruolo con Groucho Marx nel film Una notte sui tetti, poi nel 1950 una piccola parte in Eva contro Eva, diretto da Joseph Mankiewicz. Fu pero’ John Huston quello stesso anno che mi scritturò per Giungla d’asfalto e subito dopo il successo di quel film, mi richiamò la Fox. Ero così emozionata che quando mi invitarono al red carpet degli Oscar mi si strappò il vestito.

È vero che un regista fu costretto a cacciare tutti dal set durante le riprese di un film?

Si. Il film era Le memorie di un Don Giovanni e il regista era Joseph Newman. Fu costretto a farlo per mettermi in condizione di girare una scena dove apparivo quasi nuda.

I pettegoli di quella Hollywood scrissero di una sua chiacchierata relazione saffica con l’attrice Joan Crawford

La prima volta sul set lei non fu gentile nei miei confronti, mi definì volgare solo perché mi rifiutai di essere la sua amante. Ma la cosa che mi fece più male, quando alcuni in malafede cominciarono a dire che invece ero davvero lesbica e comunque oggi come ieri risponderei che non c’è sesso sbagliato se c’è amore.

É vero che il regista di Quando la moglie è in vacanza, Billy Wilder fu costretto a tagliare alcuni metri di pellicola per paura della censura?

Dietro le due o tre macchine da presa quel giorno si erano accalcate almeno duemila persone. Quel giorno alzarono al massimo il vento dei ventilatori collocati sotto la grata della metropolitana per simulare lo spostamento d’aria che mi sollevava la gonna a tal punto che nella versione senza tagli si vedevano le mutandine.

A proposito, ma è altrettanto vera la diceria che lei prima di andare a letto metteva le mutandine nel frigorifero?

Mi scusi, ma lei è mai stato a lavorare in agosto sul set di un film magari di notte con il novanta per cento di umidità? E comunque tornando a quell’immagine con la gonna alzata dal getto dell’aria alle caviglie al passaggio della Metropolitana, lo sa che quel fermo immagine finì sulle copertine di tutti i magazine del mondo? E la replica in stampa fu venduta in milioni di copie?

All’apice del successo si raccontava che forse per lo stress dovuto al lavoro, lei girava un film dietro l’altro, tenendo conto anche della sua vita privata. Insomma lei non aveva proprio un  caratterino facile e a Hollywood quando si presentava sul set si vociferava che era peggio di quello di Bette Davis

Sono stata certamente un’entità impaziente e alle volte ho commesso anche io come tutti degli errori, certamente sono stata difficile da gestire, ne sanno qualcosa i miei due mariti Joe DiMaggio, l’uomo che mi ha amato di più e Arthur Miller che mi ha regalato tanta cultura. Ma se non riesci ad avere a che fare con me nel mio momento peggiore, sicuramente non mi meriti in quello migliore. Non presumere mai che sei stato il primo nel mio cuore, se non sei stato abbastanza intelligente da essere l’ultimo.

Quanto è stato importante il sesso nella sua vita?

L’uomo deve stimolare l’animo e lo spirito della donna per rendere il sesso interessante, quando una ragazza va ad una festa, appaiono sempre, quei maschietti con quel mezzo sorriso antipatico come a dire “che bello che sono” ho imparato a mie spese che gli uomini migliori sono quelli che si nascondono.

Che giudizio da di sé stessa?

L’imperfezione è bellezza credo che una certa forma di pazzia sia genialità e comunque meglio essere ridicoli piuttosto che noiosi. Nel bene e nel male ho cercato sempre di ritrovarmi anche se a volte non è stato facile. Bisogna imparare a ridere quando si è tristi, piangere è troppo facile.

Quando ha cominciato a capire che piaceva agli uomini?

Hanno cominciato a baciarmi a stringermi a “frugare” da quando ero piccola e mi tenevano in braccio.

Le persone che hanno segnato la sua vita?

Joe DiMaggio è stato un’amante perfetto e ad Arthur Miller ho perdonato le sue cattiverie. Marlon Brando un sex symbol e un caro amico, Sinatra da ascoltare, gli altri non li cito ma non dimentico i Kennedy che mi hanno usata a piacimento per essere poi sono stata buttata come una vecchia gomma di automobile.

Quale è il film che le ha regalato più soddisfazione?

Quando la moglie è in vacanza di Billy Wilder e comunque lascio agli altri il giudizio sui miei film e magari la convinzione di essere migliori di me. Per me conservo quello che ho sempre pensato, film o non film la convinzione che nella vita si può sempre migliorare.

Ad Alba nella mia immaginazione già tramonta il sole, lei Marilyn più sexy che mai con un fularino rosa sulle spalle, si alzò da tavola sorridendo e salutandomi come nelle belle gigantografie scattate da Douglas Kirkland, il fotografo delle star che l’ha amata di più e che l’ultima volta che lo intervistai nel suo atelier a Los Angeles in occasione di una mostra a lei dedicata, mi disse: «La sua luce continuerà a brillare nel cinema, nella moda, nelle decorazioni e nella vita. Un simbolo della cultura popolare che rimarrà immortale per tanto tempo».

Marilyn Monroe morì’ per overdose di barbiturici nella sua casa di Beverly Hills a Hollywood il 5 agosto del 1962, aveva solo 36 anni. L’autopsia stabilì che si trattò di suicidio ma sono ancora tanti i misteri sulla sua morte. Sulla sua tomba che ho visitato in un piccolo cimitero di Westwood a Los Angeles, tre volte alla settimana per più di vent’anni, furono fatte recapitare sei rose rosse da parte di Joe DiMaggio.

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