In scena fino al 16 gennaio 2022 al Teatro Vittoria, la Bohème di Giacomo Puccini sotto la guida del soprano Amelia Felle e del regista Giancarlo Nicoletti. Interessantissimi i costumi e gli elementi scenici che hanno portato l’opera in un «tempo Vintage».
Al Teatro Vittoria è andata in scena la Bohème di Giacomo Puccini. L’opera è stata rappresentata in maniera integrale (con tutti e quattro i quadri) e con sopratitoli. L’accompagnamento musicale era affidato al solo pianoforte suonato dal Maestro Umberto Cipolla.
Abbiamo già incontrato questa formula del pianoforte in sostituzione dell’orchestra e riconosciamo come sia gradevole e vincente. Il solo pianoforte permette meglio di godere delle voci dei cantanti.
Questa rappresentazione della Bohème è effettivamente «fuori dagli stilemi della tradizione» e questa novità è percepibile sia dall’allestimento scenico firmato da Alessandro Chiti che dai costumi di Vincenzo Napolitano.
Sia negli oggetti di scena che nei costumi sono stati inseriti elementi estranei al periodo in cui è ambientata l’opera, la Parigi del 1830. Abbiamo visto i protagonisti della storia accendere il fuoco in un fusto (un contenitore industriale) o scattarsi fotografie con macchine fotografiche anni ‘60. Anche per i costumi sono apparse sul palco scarpe di tela, cappelli da Babbo Natale (verdi) e vestiti femminili che spaziavano dalle ampie gonne con il tipico taglio anni ’50 ai vestiti con le paillette degli anni ’20 del secolo scorso.
Andando ad analizzare queste scelte, gli elementi scenici e i costumi non hanno riproposto il passato in cui è ambientata l’opera, ma un passato “tipo”. Questo gusto nei vestiti come negli elementi di scena è da inserirsi probabilmente nella moda attuale che non considera più le cose del «baule della nonna» come vecchie, ma come antiche, o per meglio dire “vintage”.
E questa visione temporale è più in generale percepibile nella regia di Giancarlo Nicoletti che ha già firmato L’Uomo La Bestia e La Virtù con Giorgio Colangeli e Persone Naturali e Strafottenti con Marisa Laurito.
Questo approccio non filologico con l’ambientazione dell’opera ci ha convinto e questo giudizio nasce dal fatto che le citazioni di elementi successivi al periodo dell’opera in realtà non erano mai azzardati e non distraevano rispetto alla struggente narrazione dell’opera. Anche gli artisti sono stati all’altezza di questa sfida interpretativa, trasportando l’opera di Puccini in questo «tempo Vintage» in cui l’antico viene reso più vicino a noi, ma non per questo lo si classifica come vecchio.
Le scenografie meritano un discorso a parte. I grandi pannelli che facevano da porte e finestre avevano un che di esotico. Ricordavano alla lontana le pennellate delle porte di carta tanto tipiche del Giappone. L’unico elemento che era preposto ad evocare il fatto che la storia fosse ambientata a Parigi era una grande immagine posta nel fondale che era però poco leggibile perché eccessivamente ingrandita e sfocata.