È stata la mano di Dio: la recensione

Il regista napoletano, Paolo Sorrentino, racconta la sua adolescenza tra luci e tenebre

Da Villa Certosa, in Sardegna, Paolo Sorrentino si sposta nella sua città: la casa di Partenope, la Napoli degli anni’80.
Dopo un lungo e meraviglioso piano sequenza di questa magica terra e scene iniziali con una bellissima Luisa Ranieri, un San Gennaro atipico, interpretato da Enzo Decaro e un disperato Massimiliano Gallo, appare, a bordo di una Vespa Piaggio, il protagonista dell’ultimo film del regista de “La grande bellezza”, “LORO” e “LORO 2”, che con un pazzo sorriso si burla dei genitori che invece appaiono spaventati, in tre sulle due ruote.

Vediamo sin da subito l’attore feticcio di Sorrentino, Toni Servillo nel ruolo del padre, insieme a Teresa Saponangelo, nelle vesti della madre. Dopo aver palesato allo spettatore i protagonisti principali del film, il regista abbandona il suo tocco singolare, come se anche lui volesse accomodarsi sulla poltrona di velluto rosso per godersi lo spettacolo, creando così quel distacco da ciò che sta per raccontare.

L’alter ego del regista, l’attore principale, ha 17 anni e si ritrova a vivere due rilevanti avvenimenti: “l’apparizione” di Diego Armando Maradona con la maglia della squadra dell’ex presidente del Napoli, Corrado Ferlaino e il tragico incidente della morte dei genitori causata da una fuga di monossido di carbonio, che rompe la felicità familiare.

Qui il giovane dovrà cercare il prima possibile il suo posto nel mondo, ponderando come gestire il dolore per la perdita atroce dei suoi cari. Fabietto dunque, è obbligato dalla vita a diventare “Fabio”, costretto ad affrontare la vita con la consapevolezza di non essere più figlio, scampando alla criminalità, superando i tabù, realizzando il suo sogno di fare cinema “raccontando qualcosa”.

Sorrentino così narra alcuni spaccati della sua vita passata e privata. Affollamenti familiari tipici del sud Italia, condivisioni con tutti e per tutto, quel continuo palesare amore anche solo con il caratteristico fischiettio.
Fabietto complice di un fratello maggiore con cui condivide passioni carnali e calcistiche, e protettivo verso una sorella invisibile perché chiusa in bagno, che risulta poi essere la sua roccaforte.
Questa rosea cornice si contrappone a forti delusioni che attraverso i legami con gli zii e l’inaspettato tradimento alla madre da parte del padre, intacca quel nucleo familiare che all’inizio del film dava l’idea di assaporare una commedia dei telefoni bianchi.

In “È stata la mano di Dio”, lo spettatore viene catapultato e immerso nella vita del regista napoletano, che riesce a rivivere tempi passati di cui è stato testimone da piccolo. Il film commuove anche, rendendo partecipe il pubblico di quel dolore così grande, come grandi sono le interpretazioni del giovane Filippo Scotti e del fratello di scena, Marlon Joubert.

Questo ultimo film può essere definito non analogo agli altri per lo stile narrativo, è anche l’opera sorrentiniana che più avvicina lo spettatore al regista. Il pubblico partecipa in modo empatico alla storia personale del regista, fino a svelare i segreti di ciò che Sorrentino è oggi. Chi riesce ad entrare perfettamente in questo racconto filmato ha la risposta a quello che un calciatore, o meglio Maradona, può rappresentare per la sua città e per i napoletani. Nella fattispecie, per il regista stesso, andare allo stadio a vedere D1eg0, gli ha letteralmente salvato la vita; se avesse seguito i suoi genitori in vacanza ad oggi il cinema sarebbe orfano di uno dei più grandi talenti italiani.

Paolo Sorrentino con questo suo decimo film ha dimostrato nuovamente al mondo di essere uno dei cineasti più in vista del cinema italiano contemporaneo. Il regista, alla presentazione del film a Venezia ha voluto specificare che nella rappresentazione evita di esaltare un’autobiografia “convenzionale”, adottando una una messa in scena semplice dando spazio alla vita di quegli anni, a quelle sensazioni, a quei gusti e a quegli odori di quel tempo. Una continua ricerca sulla sensibilità. Tutto questo, avvolto dallo spettro Maradona, assente ma presente e fondamentale.

Questo film rappresenterà l’Italia agli Oscar 2022, nella categoria dedicata al migliore film internazionale, in cui tutto il mondo avrà modo di ammirare quanto Paolo Sorrentino, silenzioso osservatore della commedia umana, trasforma la realtà dozzinale in grande cinema.