Tunnel come spazio di mezzo, come antro che nega la percezione dell’esterno, come stasi vissuta tra le mura di una condizione che ci ha colto impreparati incatenandoci sul nascere ad un’attesa senza contorni: è “Tunnel” la mostra fotografica di Lorenzo Pesce allestita nel cortile esterno dell’Auditorium Parco della Musica di Roma e ispirata al contesto claustrofobico che l’attuale pandemia ha provocato nel corso del recente periodo.
Nei panni di una ballerina, Sofia osserva una lavagna piena di formule matematiche, Matteo vestito da astronauta, sembra levitare in un angusto spazio colmo di luci, due sorelle si appoggiano l’una sulla schiena dell’altra con i capelli tempestati di minuscole farfalle: è il medesimo luogo a fungere da ambientazione per ognuna delle foto esposte, un corridoio chiuso cosparso di oggetti di scena mutevoli a seconda delle immagini.
Anche il corridoio è tunnel, ma un tunnel che si libera del vuoto che lo abitava in un primo momento per “arredarsi” colmandosi di oggetti disparati, variopinti, simbolo delle passioni, delle idee, dei progetti che in uno spazio ristretto hanno avuto la forza di non scomparire ma di consolidarsi, di acquisire importanza ed urgenza nell’immaginario di chi le possiede.
Affermandosi infatti come osservatorio sull’umana giovinezza, sulle modalità che essa ha scelto per sopravvivere e reinventarsi in un periodo di immobilità forzata, l’esposizione attribuisce ad ogni fotogramma una gamma cromatica diversa al fine di porre l’attenzione sulla peculiarità di ogni singolo soggetto.
“Se non riesci ad uscire dal tunnel…arredalo” – questa l’esortazione che, affermandosi come chiave interpretativa dell’intero allestimento, ci porta a considerare le capacità di adattamento dell’individuo, la sua inimmaginata tenacia nell’affrontare situazioni-limite alle quali non avrebbe mai pensato di doversi predisporre.
Sebbene la collocazione esterna dei pannelli fotografici, non consenta in alcuni momenti della giornata di osservare l’esposizione secondo la luce indicata dal fotografo, è proprio questa disposizione quella che forse suggerisce meglio il contrasto tra l’ampiezza della realtà e la “ristrettezza” della rappresentazione.