Sconosciuto in attesa di rinascita. Quando una non nascita ci serve per parlare della vita

La nostra partecipazione alla vita è sempre frutto di una casualità. Quante volte ci ritroviamo a pensare che potevamo non nascere? O che i nostri genitori avrebbero potuto non incontrarsi e anche quell’incontro avrebbe senz’altro generato la nostra nascita?
E se una madre ha abortito prima di noi? Quel fratello mai nato è in un certo senso il nostro accesso alla vita, perché se fosse nato probabilmente non ci saremmo noi.

Questo è lo spunto di Sconosciuto in attesa di rinascita, spettacolo scritto, diretto e interpretato da Sergio Del Prete, che ha fatto il suo debutto il 30 giugno al Campania Teatro Festival nella sezione Osservatorio.
Lo spettacolo si compone delle scene e light design di Carmine De Mizio, l’organizzazione di Napoleone Zavatto e il supporto di Ex Asilo Filangieri.

Nel buio del palco si intravede una figura in silhouette, seduta di spalle, è quella del protagonista che non tarda a svelarsi, voltandosi verso di noi e infilandosi in uno stretto passaggio che compone un quadrato a led, il quale determina il perimetro dell’area di azione, oltre la quale (salvo alla fine) il personaggio non andrà mai.
L’accesso a questo perimetro avviene come un parto, sembra di assistere alla nascita non senza fatica di un bambino ma in realtà sembra più essere un tentativo di riappropriarsi dell’utero materno e infatti è questo che suggerisce la scena.
Il protagonista all’interno questo ambiente, a parte dal mondo, cerca di parlare con il fratello abortito, facendogli domande sui “perché” della vita in un “non luogo” dove tutti i nodi vengono al pettine.
Si comincia dall’infanzia, dal momento della verità, in un’imprecisata periferia dove due genitori discutono e la madre rivela di aver abortito anni prima. È questo l’evento scatenante che va a provocare nel protagonista, in un qualche modo, la sindrome dell’impostore tanto da pensare di essere inadeguato alla vita.
Da qui un ulteriore ragionamento del personaggio va a riflettere su quanto sia difficile tra le persone che si conoscono parlare, dire la verità. Non sarebbe più facile con uno sconosciuto? Tutto ci viene più facile, anche confessarci e relazionarci se la persona che abbiamo di fronte è una sconosciuta.

È evidente che il lavoro di Del Prete è intimo, assai riflessivo e profondo, parte da qualcosa probabilmente di autobiografico anche se ciò non è dichiarato. Si sente l’urgenza di mettere sul tavolo certi argomenti e lo si fa in una maniera molto semplice: si prende una scatola vuota, vi si mette dentro un personaggio e si accende la luce su di lui, in questo caso un led e lo si ascolta.
Format quindi molto semplice e trasportabile, affidato a pochi elementi e al lavoro dell’attore, supportato da un ottimo gruppo di lavoro.

Se vogliamo individuare un difetto in particolare è sulla quantità di argomenti e di spunti esposti dall’eloquio del personaggio, ma sicuramente il ritmo ora serrato, ora più morbido aiuta a seguire bene tutto.
La scena nella sua essenzialità è comunque concepita secondo luoghi deputati destinati ad alcuni precisi momenti della vita del protagonista. La narrazione scorre veloce fino alla risoluzione finale e quando le luci si riaccendono si scorge la commozione dell’autore. Questo elemento tutto umano e spontaneo è stato qualcosa di bello e di vero che ci ricorda quanto è bello tornare a teatro.