Il Roma Fringe Festival si è concluso il 24 aprile dopo più di dieci giorni di programmazione di spettacolo. Grazie al mezzo telematico si è potuto beneficiare del teatro potendo fruire di storie spesso molto interessanti.
Il 23 aprile, tra le proposte del Festival c’è stato il lavoro di Martina Lasala, Knock Knock – suoni ad occhi aperti con Lorenzo Grilli. Questo spettacolo che si presenta con tutte le caratteristiche del prodotto di alto livello e di intrattenimento ha messo in evidenza la stanchezza derivante dalla fruizione a mezzo telematico della performance teatrale. Non per una questione di scarso livello della pièce, ma proprio per la ricchezza della stessa, l’opera è risultata quindi foriera di un piacere a metà.
Ciò dice molto su quanto si è sopportato con la chiusura dei teatri, e purtroppo a pagarne le conseguenze è una bella proposta artistica come questa.
Tutto inizia da un sogno e la messa in scena stessa è onirica. L’interprete è solo su un palco praticamente vuoto con soltanto una sedia e due cambi d’abito. Tutta la storia è affidata a Grilli e alle sue capacità mimiche. I riferimenti sono Gene Kelly e Michel Courtemanche, e più arti si intrecciano nel corso della messa in scena: mimo, tip tap, canto, acrobazia e musica. A proposito di quest’ultima il tappeto sonoro costituisce, fra rumori e musica, una scenografia sonora che contestualizza quanto vediamo.
Tutto parte da una domanda: come fare per inserire questo mix di arti e suoni un’unica storia? La risposta è proprio nella colonna sonora che ha potuto fare da contrappunto a un’avventura esaltando tutti i talenti dell’attore sulla scena. Più che uno spettacolo in senso classico, quindi, Knock Knock – suoni ad occhi aperti si potrebbe definire una performance che catapulta lo spettatore in un mondo fatto di sogni e col gusto del passato. In effetti nel complesso rimanda proprio ai film di una certa Hollywood con Gene Kelly che danza al chiaro di luna.
Noi spettatori ci ritroviamo a sognare e viaggiare tanti mondi diversi. Cosa succederebbe se rubaste qualcosa di molto prezioso senza sapere di cosa si tratti, e che in una situazione di vita o di morte, l’unico modo per ribaltare il destino fosse di utilizzarla? È ciò che succede al nostro eroe, che si ritrova proiettato nella New York degli anni trenta, all’epoca di Charlie Chaplin, dei fumosi lounge bar e del Jazz, del Tip Tap e dell’amore romantico e danzante che, come tutti sanno, non ha tempo. Affascinato da quell’epoca ormai lontana riuscirà a tornare a casa o rimarrà incastrato nei frammenti del tempo?
Tutti gli ingredienti dello spettacolo sono senz’altro concilianti per il pubblico medio, nonostante non vi siano orpelli stilistici né elementi di scena, a parte la sedia e altri personaggi. Il pregio di questo spettacolo è proprio nella sua semplicità e nella bravura dell’interprete.
Purtroppo per quanto musica anni trenta, viaggi nel tempo e atmosfere hollywoodiane siano un incentivo a vedere Knock Knock, il lavoro perde molta della sua magia e suggestiva attrazione se visto in streaming. Per questo risulta difficile riuscire a coglierne il bello a tutto tondo e ciò è senz’altro un peccato, di sicuro da non imputare a chi ha realizzato il lavoro.
La speranza è che dal prossimo anno spettacoli come questo possano girare nelle sale e incontrare un pubblico reale invece delle solite telecamere.