di Miriam Bocchino
Fascinazione, dolore e oblio: Elena di Troia, una delle figure femminili più conosciute della mitologia greca, da sempre suscita sensazioni contraddittorie. In una sola donna, infatti, il peso della guerra e la lascivia degli uomini.
“Processo a una puttana”, lettura drammatizzata andata in scena il 24 marzo nell’ambito della Rassegna internazionale di drammaturgia contemporanea “In Altre Parole”, organizzata dal Teatro Argot, racconta, attraverso la figura di Elena di Troia, interpretata da Iaia Forte, la figura di una donna che dal desiderio di scomparire e ottenere l’oblio trae la forza per narrare la sua verità.
La bellezza di Elena sta scemando lentamente eppure il passo sembra trascinare un corpo che, pur desiderando la dimenticanza, non riesce a smettere di ricordare.
La donna è femmina e fantasma, vaga nell’ombra della stanza, assopendo i sensi con le medicine. Dimenticare non è possibile ma interrompere il pianto forse sì.
Miguel Del Arco, autore del testo, racconta, prima della messinscena, l’intento dello spettacolo: narrare l’interiorità di una donna, abbandonando ogni pregiudizio e dimensione mitica. Il testo, dallo stesso definito femminista, non giustifica Elena ma nemmeno la condanna.
“Processo a una puttana”, attraverso la regia di Francesco Frangipane, diviene per lo spettatore il ritratto intimo ed empatico di una donna. La scenografia scarna e le luci soffuse evidenziano il dolore e il rimpianto di Elena che non trova sollievo in nient’altro che nel racconto stesso.
“Elena la puttana, la frivola, la seduttrice”: questi alcuni degli appellativi rivolti alla donna che dichiara come unica colpa l’amore. Eppure Elena, nello spazio di una sera, sembra volersi non solo assolvere ma anche punire per un sentimento che ha portato distruzione e sofferenza, condannandola a un limbo imperituro.
La donna beve il vino, che grazie a un infuso speciale le assopisce i sensi, vagando in un non – tempo e pronunciando parole che pur prive di lacrime appaiono colme di singhiozzi soffocati.
Racconta la sua storia.
Nata dall’incontro tra Leda e Zeus e cresciuta nella casa di Tindaro da sempre fu nascosta agli occhi degli uomini per la sua bellezza divenuta leggendaria.
Desiderata, rapita e violentata da Teseo venne data in sposa a Menelao finché nella figura di Paride non scoprì l’amore e per quel sentimento abbandonò la sua terra per vivere a Troia.
“Con la stessa arma con cui Teseo e Menelao mi avevano distrutta Paride mi riportava in vita”.
Nei 20 anni trascorsi con Paride la donna conobbe il rifiuto, la maldicenza e infine il non – amore perché l’uomo da lei amato, nel sopraggiungere della morte, rigettò quel sentimento, abbandonando la vita con la sola paura negli occhi.
“Avere solo amato un uomo al di sopra di ogni cosa”: questa è per Elena la colpa commessa, ma tale onta è così grave da evocare il suo peso per l’eternità?
“La mia unica colpa, la mia gloria, la mia eternità.”
“Processo a una puttana” ha un testo elegante, magistralmente interpretato da Iaia Forte, in grado di raccontare la colpa di chi ama e per quell’amore soffre. Elena di Troia, in fondo, non raffigura altro che le molteplici anime che vivono in ogni donna e che in taluni casi non trovano conforto se non nella morte dei sensi.