La vita al contrario. Sulla maniera di sentirsi fuori tempo.

Sì è svolta dal 22 al 27 marzo, in streaming e gratuitamente, In altre parole, rassegna internazionale di drammaturgia contemporanea a cura del Teatro Argot Studio ideata e diretta da Pino Tierno con responsabile artistico Francesco Frangipane.

La rassegna è in collaborazione con Teatri, Università, Ambasciate, Istituti di cultura stranieri in Italia e all’estero ed è arrivata alla sua quindicesima edizione.

Il 25 marzo per gli Stati Uniti è stata presentata un’inedita versione teatrale, sotto forma di monologo, del più celebre racconto di Francis Scott Fitzgerald, già adattato per il grande schermo: La vita al contrario/Il curioso caso di Benjamin Button, versione teatrale di Pino Tierno, con Giorgio Lupano, a cura di Ferdinando Ceriani.

La diretta è iniziata con una presentazione degna dei migliori corsi universitari con l’intervento di Sara Antonelli, docente di Lingue e Letterature angloamericane all’Università di Roma Tre; Giorgio Lupano, l’attore protagonista e Ferdinando Ceriani che ha curato la regia. L’incontro è stato moderato da Sabrina Vellucci.

Di sicuro l’introduzione precedente alla messa in scena mette subito a proprio agio lo spettatore e crea l’ambiente giusto per vivere il mondo sia letterario che teatrale de La vita al contrario. Si acquisiscono molte informazioni tanto che viene voglia di correre a leggere tutto Fitzgerlad (se casomai non lo si fosse ancora fatto) e gli autori a lui vicini come Mark Twain che sembra essere stato un riferimento per Fitzgerald con la sua riflessione sulla vita e sul fatto che sia davvero un peccato che il meglio arrivi all’inizio mentre la parte peggiore sia alla fine. Ma la professoressa Antonelli riporta anche molti riferimenti cinematografici, per esempio M – il mostro di Dusseldorf (1931) di Fritz Lang, tutti riferimenti utilissimi che ci servono a immaginare e avere contezza del contesto storico e culturale intorno al quale si è sviluppata la scrittura di Francis Scott Fitzgerald e gli effetti negli anni a seguire. Soprattutto ci porta a riflettere sul tema del diverso declinato in tante opere sia letterarie che cinematografiche.  

Da questa mini lezione di letteratura emerge anche un altro riferimento, si dice che Fitzgerald si sia ispirato a un racconto degli anni dieci di Giulio Gianelli che aveva scritto di un personaggio il quale effettivamente ringiovaniva invece di invecchiare.
Ciò che è certo è che le reference di ogni scrittore sono svariate e molto spesso si “copia con stile”, ispirandosi a quello che maggiormente entra nelle corde dell’autore, toccando la sua sensibilità.

Nello specifico l’adattamento di Pino Tierno rimane fedele il più possibile all’opera originale servendosi della voce narrante dello stesso protagonista, proprio come fece a suo tempo Fitzgerald che come sappiamo inseriva spesso una voce narrante nelle sue opere.
Ciò dà sicuramente un carattere epico alla storia, epico nella misura in cui si raccontano vicende accadute in un passato più o meno remoto e di solito il narratore è qualcuno che ha visto gli accadimenti da spettatore (un po’ come capita nel Grande Gatzby) oppure il protagonista stesso che vuole lasciare ai posteri la propria storia prima che questa si perda nell’oblio della memoria. È proprio questo il caso di Benjamin (nell’adattamento Nino) che vuole raccontare la propria storia prima di dimenticarla, sta per cadere in un eterno presente, quello dei neonati che non hanno la percezione del tempo che passa. Questo perché Benjamin/Nino vive la vita al contrario appunto, è nato vecchio e morirà giovane.

Tierno ha per lo più italianizzato la storia riportandola agli avvenimenti storici che hanno riguardato il nostro Paese dall’Unità d’Italia fino ai primi anni sessanta. La messa in scena è infatti accompagnata dai suoni e le melodie che hanno caratterizzato gli anni più significativi della storia d’Italia. Si parte quindi dall’Unità passando per le due guerre mondiali fino all’inizio del boom economico.
Nel frattempo Nino si misura con il senso di frustrazione che gli deriva dall’essere sempre asincrono rispetto alle tappe fondamentali che segnano la vita di ciascuno di noi. Per esempio l’Università è un lusso che può permettersi solo a cinquant’anni quando il suo aspetto è quello di un ventenne.

A Giorgio Lupano è affidato l’arduo compito, riuscito, di tenere in piedi la storia dall’inizio alla fine (ma forse sarebbe più giusto dire dalla fine all’inizio) con cambi di voci e di intenzioni. La scena, dal momento che il racconto è molto visivo e suggestivo e che Lupano sa bene raccontare per immagini il “curioso caso” per citare il film con Brad Pitt (Il curioso caso di Benjamin Button, 2008 diretto da David Fincher) poteva anche essere nuda.
Invece sono stati apposti due leggii ai lati del palco, una panca centrale e una culla di vimini, oggetti che hanno fatto da stazioni delle “via crucis” che è stata la vita del protagonista ma che potevano benissimo non essere presenti data l’efficacia del testo. Inoltre Lupano si serve di fogli, come pagine di un diario che fanno da appoggio in alcuni momenti rendendo la messa in scena una sorta di ibrido fra un monologo e un reading.

Salvo questi piccoli particolari si tratta di un adattamento riuscito ed emozionante che ci permette di vedere la versatilità e la bravura dell’attore protagonista.