Caro teatro ti scrivo….

 di Andrea Cavazzini

“Caro teatro ti scrivo, così mi distraggo un po’ e siccome sei molto lontano più forte di scriverò”. Parafrasando Dalla è passato un anno da quando il nostro mondo è cambiato così all’improvviso. La pandemia, la crisi sanitaria, la chiusura degli spettacoli dal vivo ha preso piede in quasi tutto il pianeta. Questo periodo in cui, in un gran numero di paesi, l’attività artistica è sospesa, costituisce un momento storico le cui conseguenze non sono state ancora analizzate e la promessa di un ritorno a una certa normalità ha, almeno nei grandi centri urbani, l’apparenza di un miraggio di oasi irraggiungibili …

Un anno dopo, cosa è cambiato irrimediabilmente, quale sarà il teatro di domani? Cosa abbiamo perso e cosa ne abbiamo guadagnato (ammesso che qualcosa ci sia)? Approfitto di questo mio articolo provando a dare  il mio piccolo contributo in termini di riflessioni. Una cosa è certa: non torneremo indietro, dobbiamo pensare di venire a patti con questa nuova realtà precaria, incerta. Molti artisti non hanno avuto altra scelta che adattarsi, organizzarsi diversamente per continuare a lavorare. Ma come creare un’opera senza l’obiettivo di condividerla, senza vedere il giorno in cui riapriranno i teatri?

Lo streaming ha interessanti percorsi innovativi, ma mostra i suoi limiti e non può rappresentare certo la soluzione. Se il web garantisce una maggiore accessibilità alle creazioni, alla cultura da qui e altrove, pur svolgendo un ruolo di conservazione, la pressione continua legata alla necessità di reinventarsi pesa sugli artisti e può talvolta portarli a dimenticare le origini della loro passione, la loro ragione d’essere. Dobbiamo ricordare con insistenza l’importanza del legame, dello scambio con il pubblico, di questi incontri che nutrono la nostra mente e il nostro cuore con la forza dei sentimenti e delle riflessioni che ne derivano.

 Il teatro, offre l’esperienza di una consapevolezza condivisa di ciò che ci rende umani attraverso la celebrazione del tentativo, al di là di tutto paure, di ogni infantilismo, dell’incontro tra l’uomo e l’universo. Il teatro è un’intrusione, quella dell’immaginario nel reale, che ingrandisce il reale attraverso il potere del gioco di fronte alla morte. È l’espressione della sopravvivenza, di una vita che osa ridere di fronte alla morte. I terribili numeri dei decessi per COVID ci raccontano di oltre 100mila morti, ma la morte non potrà mai avere l’ultima risata. 

Il vaccino, rappresenta la speranza o un altro miraggio con tutte le difficoltà legate all’approvvigionamento e ai timori non trascurabili di qualche lotto “difettoso”? Il pubblico del teatro, del cinema, della musica e della danza è composto da giovani, ma anche da tante persone di una certa età, soprattutto in pensione: torneranno? Rischieranno di tornare a teatro  prima di essere vaccinate? Ci verrà richiesto, come si discute da tempo a livello politico di un “passaporto vaccinale” per accedere ai luoghi di diffusione culturale? Il ritorno alla “normalità” è diventato un sogno inaccessibile o una chimera?

La chimera è mutevole e seducente, ha preso il centro della scena; il vero mostro, questo coronavirus che ci costringe a ripensare a tutto, è una bestia che si può domare? L’auspicio è che le nuove sfide, ci portino a riconsiderare cosa possiamo e vogliamo fare in questi tempi incerti, perché diverse battaglie, in corso prima della pandemia, richiedono ancora azioni, cambiamenti, volontà e soprattutto tornare a ridere, vivere, amare e creare!