“Doctor Faustus” dal Belli

Densa, una nebbia avvolge la scena, si dirada il fumo bluastro lasciando trasparire una donna in abito bianco: accingendosi a “presentarvi le fortune di Faust, buone e cattive”, si avvicina al proscenio presentandosi come guida all’interno dell’opera.

In streaming al Teatro Belli di Roma “Doctor Faustus” di Christopher Marlowe tradotto in versi di Rodolfo Wilcock e interpretato dalla regia di Carlo Emilio Lerici.

Occupa il fondo del boccascena una sconfinata biblioteca traboccante di libri d’ogni sorta, è con le mani schiacciate sul volto che l’uomo, seduto al centro, si abbandona ad intersecati ragionamenti, monologando sulla natura delle sue passioni.

“Studia Faust, diventa anche tu Dio!” – decisiva, l’esortazione a sé stesso sarà all’origine di una scelta nefasta: eternamente insaziabile di fronte alla conoscenza, vorrebbe spingersi ancora oltre, a tal punto che neanche magia o negromanzia riescono ad acquietare la sua insofferenza.

Se il sopraggiungere degli amici sembra sostenere la sua urgenza di verità, diverso è il ruolo dei due ecclesiastici che, attraversando a lenti passi la sala, tentano di dissuadere Faust appellandosi alla teologia dogmatica e al suo essere inconciliabile con la magia nera.

Una candela, un libro a terra, poi l’invocazione a Mefistofele: consigliato dapprima da due donne, incarnazione delle voci contrastanti che assalgono il suo animo, Faust si trova ora davanti al diavolo per stringere un patto di sangue.

Nel tentativo di restituire il contrasto interiore del protagonista, il regista struttura il momento cruciale dell’opera attribuendo alla scena le sembianze di un incubo entro cui ragione e urgenza sembrano confondersi: nella scelta di scene semibuie e di sinistri sottofondi sonori (Francesco Verdinelli), si tende all’enfasi di un’angoscia in primo luogo restituita dalla capacità mimica dei volti di Edoardo Siravo e Antonio Salines.

Sono i costumi di Annalisa di Piero a vivificare l’interpretazione di Francesca Bianco, Fabrizio Bordignon, Gabriella Casali, Giuseppe Cattani, Germano Rubbi, Roberto Tesconi e Anna Paola Vellaccio, che armonizzandosi in un cast eterogeneo si alternano in ruoli rimandanti ora personaggi concreti ora personificazioni delle forze che dominano la mente del protagonista.

“Se non puoi perdonare la mia anima, fissa almeno un termine ai miei tormenti” – ingabbiato nell’avventatezza della promessa fatta, Faust si rammarica per essersi abbandonato ad una tale corsa inarrestabile: brutalmente espressivo si afferma ora il contrasto fra l’iniziale idea dell’inferno (“non è che una favola”) e la finale impossibilità di salvezza.

È il suo corpo ormai esanime a terra a sancire il termine nella scena finale, un corpo distrutto per l’ingordigia nei confronti del sapere, che reso invisibile da un telo, trova nel silenzio la fine della sua disperazione.