John Demjanjuk o Ivan Demjanjuk? Questo è il problema che Netflix pone al mondo che si ricatapulta nella cronaca nera firmata SS.
“Il boia insospettabile” è una docuserie prodotta da Netflix, racconta in modo cronologico la storia di John Demjanjuk, un uomo immigrato dall’Ucraina. John ha vissuto il sogno americano: lavoratore modello, cittadino esemplare, ortodosso praticante, padre e marito perfetto. Tanti hanno i propri scheletri nell’armadio, ma i registi Yossi Bloch e Daniel Sivan ripropongono un interrogativo che da 40 anni il mondo si pone: chi è realmente Demjanjuk? Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, molti membri delle SS si celarono in tutto il mondo con carte di identità false. Tuttavia questo incrementò una minuziosa “caccia all’uomo” da parte di Israele, Stati Uniti e Germania. Tra interviste ai protagonisti della cronaca del tempo e immagini di repertorio, lo spettatore viene catapultato agli inizi degli anni ’80, periodo in cui l’Unione Sovietica segnalò agli USA, paese ospitante di John, che in realtà l’uomo era un criminale di guerra nazista, militare ucraino naturalizzato statunitense che si arruolò nelle SS, diventando il più temuto boia dei campi di concentramento a Treblinka e Sobibór in Polonia.
Si apre immediatamente il grande interrogativo: John Demjanjuk o Ivan “il terribile” Demjanjuk? L’America lo estradò immediatamente, mettendolo in volo verso Israele e lasciandolo al suo sistema giudiziario, che in casi estremi, come un’eventuale veridicità di questo caso, prevede la morte.
Dalla prima puntata all’ultima lo spettatore è subito coinvolto, attento ai minimi dettagli che gli si presentano perché la serie è realizzata con estrema competenza e tatto, rimanendo sempre imparziale e rispettosa verso tutti i protagonisti di questa ciclopica e buia vicenda giudiziaria. L’estro dei registi ha permesso a chi guarda “Il boia insospettabile” di esaminare il caso, invitando il pubblico a capire chi fosse realmente quest’uomo: la bestia che torturava gli ebrei o l’immigrato perfetto? Non è semplice riconoscere un uomo dopo quarant’anni, come non è semplice assistere alle strazianti testimonianze dei sopravvissuti all’Olocausto che con odio gli urlano: “Sto guardando gli occhi di Ivan il terribile!”, mentre la fredda difesa dell’imputato porta sul tavolo della Corte prove inconfutabili che scagionano il proprio assistito.
In molte sequenze di questa docuserie, lo spettatore si trova a immedesimarsi nei vari stati d’animo dei protagonisti, anche quelli di Ivan “John” Demjanjuk, perché qualora ci si sbagliasse lo si condannerebbe all’impiccagione. I due registi israeliani hanno presentato a Netflix un prodotto che va assolutamente guardato, sia per l’ordine e la perfezione strutturale delle cinque puntate, sia per il paradosso di pensare di avere come vicino di casa un insospettabile operaio della Ford e non un criminale di guerra, sia per denunciare che dopo settantasei anni non si sia fatta chiarezza nei ricordi e nei volti di chi la Seconda Guerra Mondiale l’ha vissuta e l’ha subita, lasciando ferite mai rimarginate e perdoni concessi ma mai metabolizzati.