The Midnight Sky è l’ultimo film da regista, produttore e interprete di George Clooney ed è disponibile sulla piattaforma Netflix dallo scorso 23 dicembre. Il film è tratto dal romanzo di Lily Brooks Dalton, La distanza tra le stelle.
Siamo nel 2050 e la Terra, ormai moribonda a causa dei cambiamenti climatici, sta per essere evacuata. Tra i suoi ultimi abitanti, nel Circolo polare artico, c’è lo scienziato Augustine Lofthouse (George Clooney), malato terminale che ha deciso di restare sul suo pianeta.
Augustine sta presidiando il laboratorio in cui ha vissuto negli ultimi anni quando scopre di non essere in realtà l’ultimo abitante della Terra.
Con lui infatti c’è la piccola Iris (Caoilinn Springall), una bambina rimasta sola, a quanto pare muta, con cui Augustine inizialmente trova difficoltà a comunicare.
Iris sarà il pretesto, per lo scienziato, per mettersi in contatto con le navicelle spaziali ancora in circolazione nell’universo. Proprio per ritrovare i genitori della bambina, Augustine si ritrova in contatto con una navicella di ritorno da una missione su Giove e assente da molto tempo. Gli astronauti in questione, tra cui troviamo Felicity Jones nel ruolo di Sully, un’astronauta incinta, non hanno idea di cosa sia capitato alla loro casa e Augustine dovrà cercare di avvertirli di non poter tornare indietro: la Terra non è più un luogo abitabile.
Un tempo avremmo potuto definire un film come The Midnight Sky distopico, focalizzato su un futuro ipotetico, più o meno remoto, futuribile. Purtroppo non è questo il caso perché il cambiamento climatico è una realtà che ci tocca da vicino.
Infatti l’anno di ambientazione della storia è il 2050, un anno che facendo un rapido calcolo non è molto lontano. Forse, un film del genere negli anni ottanta lo avremmo classificato come “fantascienza” ma non è questo il caso. O meglio nella classificazione dei generi è proprio di questo che si tratta ma, per l’argomento trattato, potremmo definire la storia una sorta di riflessione sull’attualità.
The Midnight Sky ci porta inevitabilmente a considerare il nostro futuro, non come individui ma come comunità; domande come “Che cosa stiamo facendo?”, “Dove stiamo andando?”, “Quale sarà il futuro del mondo?” arrivano inesorabili e non si può fare a meno di provare angoscia per questo.
L’obiettivo però è anche quello di infondere speranza nello spettatore e ricordargli quello che scrisse il poeta John Donne: “Nessun uomo è un’isola”. Solo lottando insieme, gli uomini, con le loro capacità, possono trovare una soluzione e alla fine sembra possibile immaginare un’alternativa. Infatti, nonostante la paura che questo film infonde, al contempo vuole invitarci a ragionare proprio su questo: gli uomini possono fare molto dimenticando l’egoismo e pensandosi come comunità, guardando all’altro.
George Clooney, qui nella triplice veste di interprete, regista e produttore, ci conferma il buon gusto nella scelta delle storie e le sue doti attoriali. Il film parte inizialmente lento, dandoci il tempo di ambientarci, per poi procedere molto velocemente nella seconda parte che è anche la più interessante.
Vi sono, fondamentalmente, due linee narrative: una segue la vicenda di Augustine e la piccola Iris nel tentativo di convivere mentre si trova una soluzione alla salvezza di quest’ultima, e l’altra è quella dell’equipaggio di ritorno da Giove. A un certo punto, nel cercare di mettersi in contatto con qualcuno che possa salvare la piccola Iris, il nostro protagonista intercetta proprio la navicella di ritorno dalla missione.
Le due vicende sono intervallate da alcuni flashback della vita di Augustine che ci aiutano a capire meglio il personaggio ma che ci danno anche indizi su quanto accade nella linea presente.
Nella seconda parte del film tutti i nodi vengono al pettine e ogni cosa viene spiegata con un colpo di scena giocato molto bene dal punto di vista narrativo.
Complessivamente si tratta di un buon film che diventa più interessante man mano che si procede nella visione verso la seconda parte. Il regista ha dedicato molto tempo ai personaggi, ai loro silenzi, ai ricordi e soprattutto alle relazioni. Tutto ciò per focalizzare l’attenzione sul capitale umano, sulle emozioni e ricordarci che sono proprio queste le cose che contano di più.
Si resta in gran parte soddisfatti dalla conclusione di questa storia ma la domanda finale resta:
Ce la faremo? È inevitabile, visto il periodo storico, trovare un punto di congiunzione fra questa storia e il nostro presente, anche alla luce della pandemia in corso. Il film è stato scritto prima che noi stessi ci trovassimo protagonisti di una distopia ed è stato girato nel mese di ottobre, prima della seconda ondata. Si trova quindi, dal punto di vista della distribuzione, in un periodo fortunato.
In generale la pellicola è figlia dei nostri tempi e sorella di molte altre storie su un’ipotetica fine della civiltà finora conosciuta.
A partire da Interstellar e procedendo sino ad oggi, vi sono stati diversi film che attraverso il genere della fantascienza hanno parlato della civiltà e quindi di quanto accade sulla terra. Gravity, Arrival e molti altri ci dicono tutti la stessa cosa: dobbiamo avere cura della nostra casa e delle persone che la abitano con noi.
Saremo in grado di vivere e con-vivere bene su questo pianeta, in futuro?