2021 Odissea del Teatro: il Gran Finale.

 di Sabrina Biagioli *

 

Poi, in un giorno qualsiasi, finisce tutto.

E sì, c’erano state delle avvisaglie, e sì, non avevi voluto vedere, non credevi si facesse sul serio, non pensavi che poi davvero, davvero si sarebbe arrivati a questo. Alla fine. A chiudere. E invece.

Potrebbe essere l’incipit della fine di una storia d’amore, e in realtà lo è. Perché il teatro, in fondo, non è che questo, una lunga storia d’amore che dura per tutta la vita: per chi il teatro lo fa, per chi lo scrive, per chi lo racconta, per chi lo guarda, anche.

Siamo tutti un po’ più soli, oggi. Tutti noi, amanti di quella scatola nera che ci ha riempito la vita, le ore, l’anima. Come un innamorato perfetto, ci ha fatto ridere, spesso piangere, ci ha condotti in posti meravigliosi e lontani, ci ha raccontato storie – a volte vere, a volte bugie indecenti – ci ha fatto arrabbiare, ci ha illuminato, ci ha arricchito. E poi, come un amante prezioso, ci ha sussurrato all’orecchio, lento e suadente, ci ha sedotti, ammaliati, tormentati, stupefatti.

Fino al giorno in cui è finito tutto. Fino al giorno in cui ha chiuso la porta. Per quelli come noi, sognatori, visionari, pazzi, sembra impossibile poter vivere senza. E lo è. Chi mai vorrebbe vivere senza l’amore della sua vita? Qualcuno ci faccia i nomi e i cognomi di chi vorrebbe farlo, di grazia.  

Di ogni sguardo che mi è capitato di incontrare in questo tempo grottesco ho colto l’esasperazione e il leggero velo triste, nelle parole degli amici che mi hanno scritto ho scorto nostalgia, su ogni bocca che ho solo potuto immaginare ho indovinato la piega amara di un sorriso. Lo so, lo so.

Ci si incontra, distanti, ci si parla, ci si guarda, ci si sorride, e tutti sembriamo vagamente un po’ più disperati. Ingiustamente abbandonati. E a poco servono le soluzioni del momento, tra fondi elargiti e parole quali “didattica a distanza”, “streaming”, “web” che per gente come noi semplicemente suonano solo come lettere una in fila all’altra, senza significato o sottotesto alcuno. 

Significano niente, per noi tutti, che anche se in modi diversi ci siamo innamorati di quella sorprendente, terribile scatola nera, noi che non abbiamo avuto scelta, perché il Teatro è una cosa che hai dentro già, perché è lui che sceglie te, in qualunque forma lo desidera, e a te sta il solo compito di scoprirlo e di capire quale sia il tuo posto. Quale che sia non importa, perché c’è bisogno di tutti, affinché funzioni.

E quando ci siamo tutti, attori, registi, pubblico, addetti ai lavori, autori, critici (dunque proprio, ma proprio tutti!) funziona. Eccome se funziona. Un amante prezioso, un innamorato perfetto.

In questa sublime e ossessiva storia d’amore non c’è spazio per la distanza che umilia la poesia, per lo streaming che mortifica la passione, non sappiamo che farcene, noi non lo vogliamo un amore così, sciatto e disperato come un’elemosina all’angolo della strada.

 

Però. Però.

Però questo è il momento di riflettere, di capire la gravità dell’Assurdo che viviamo (e che Assurdo sia inteso nella sua accezione teatrale, oltre che nel suo già ovvio e più conosciuto significato), di comprendere quale sia adesso la mossa giusta da fare, di non rincorrere qualcosa che per ora non possiamo avere, di fare un passo indietro.

Lo abbiamo fatto, lo stiamo ancora facendo. Alcuni riescono a camminare spediti o almeno son bravi a farlo credere, altri arrancano, alcuni proprio non ne vogliono sapere. Tutti, comunque la si metta, sono irrimediabilmente feriti e segnati da questa separazione.

 

Succede, allora, che nel frattempo bisogna farsi forza, andare avanti, sperare, non pensare troppo, progettare, succede che bisogna sentirsi utili, ma soprattutto, ancora vivi. Che qualcuno ci dica “Ehi, dopotutto sei ancora vivo, puoi farcela”.

Dunque, eccomi qui, a dire a tutti voi – a tutti noi – che anche se non tutti i giorni ci sembra possibile, possiamo farcela. Perché siamo comunque ancora vivi, perché possiamo e dobbiamo trovare l’energia necessaria per resistere, la stessa energia che abbiamo messo sul palco ad ogni respiro, che abbiamo usato per ogni applauso, che abbiamo disegnato tra le righe di ogni riga che abbiamo scritto.

Respiriamo. Aspettiamo. Non perdiamo la calma, la speranza, la pazienza.

Quell’amante generoso non ci ha mai davvero lasciati, e noi, sognatori, visionari, pazzi, in fondo lo sappiamo. Lo sappiamo che tornerà, ché tornerebbe sempre, perché l’amore è solo amore e non ci si può fare niente, non si può star lontani troppo e lui lo sa. Forse, a guardare bene, è dall’altra parte della porta chiusa e ci sta già sta aspettando. Non abbiamo perso, dunque. Non è ancora, davvero finita.

Se questo lungo periodo di pandemia fosse uno spettacolo, questo sarebbe il momento della svolta, il cambio (tanto atteso) che cambia la storia tutta: questa è la scena in cui i personaggi capiscono che l’immobilità non è sempre sinonimo di sconfitta, anzi.

Io già li vedo, già ci vedo, sul palco, in regia, dietro le quinte, in platea. Lì, ad aspettare. Immobili, gli occhi che vagano, a fiutare il tempo intorno a noi, ad attendere il momento perfetto, la fine, come il leone prima dell’attacco.

Perché quel Tempo Perfetto arriverà per forza, come in ogni spettacolo, arriva sempre l’ultima scena, anche quando non lo vogliamo. E Signori – sognatori, visionari, pazzi – io ve lo dico. Sarà un gran finale.

 

*attrice