L’imperdibile reading di Binasco condensa, in poco più di un’ora, il racconto interiore di un nichilista, che nonostante tutto è stato capace di tornare in vita.
La tentazione di riavvolgere la barra dello streaming è fortissima, ma bisogna opporsi a questo istinto. È necessario lasciare che le emozioni corrano, che lo spettacolo a cui si è appena assistito (ben oltre un semplice reading) rimanga un unicum nella nostra memoria. Questa è la regola aurea del teatro, che come un’emozione può accadere ancora, ma mai allo stesso modo: qui sta tutta la potenza dell’evento teatrale, oggi inesorabilmente svuotato – e senza troppi scrupoli – dal digitale.
Una banalità di cui spesso ci dimentichiamo, un’evidenza assoluta che raramente ci influenza nelle scelte del quotidiano. Come se, dopotutto, l’irreversibilità del passato fosse un’esperienza già nota, una mancanza a cui siamo abituati ma anche costretti, che non rappresenta più alcun problema. Così non è e i “bruschi risvegli” a cui obbligano le grandi interpretazioni – come quella commovente, immediata e curata di Binasco – ci ricordano che, tutto sommato, al fondo della presunzione di aver capito “come vanno le cose”, di avere tutto sotto controllo e di poter disporre del mondo attraverso un semplice “click” c’è ben altro.
Un pozzo in cui persino il più felice degli uomini può rimanere imprigionato, ritrovandosi costretto al lamento, impossibilitato a uscire dal suo rompicapo di buone intenzioni. Quando si parla di vampiri (in senso metaforico, naturalmente) come in questa pièce, emergono immediatamente alcune caratteristiche: assenza di coscienza, eternità, fascino. Un egoismo meschino e parassitario che, anche se celato, resta presente in ognuno di noi.
In “St. Nicholas” di Conor McPherson si racconta la storia di un nichilista, ovvero di quel soggetto ben noto all’immaginario occidentale, che desidera il nulla e nient’altro che il nulla, del cui annientamento vive e si alimenta malignamente, un individuo che del risentimento ha fatto la virtù più alta. La disillusione assorbe ogni favola umana, persino la più pura dell’amore e del bello artistico e disinteressato, intrecciandosi con la festività che par excellencerimanda alla nascita.
Il titolo della pièce si riferisce a San Nicola, ovvero alla figura archetipica che sta alle origini del Natale. Emerge qui un tema complesso, ovvero la domanda se sia possibile, al fondo dei grandi miti della storia, riconoscere non dei “geni”- come spesso si è scritto del Cristo o dei santi – ma, piuttosto, degli uomini irrimediabilmente mediocri. Si tratta di riflessioni per certi versi entrate a far parte del senso comune, ma che, tuttavia, hanno scosso profondamente le coscienze ottocentesche, ovvero l’epoca in cui il vampirismo e la magia nera, nonché l’ossessione per un potere eterno e per la seduzione, animavano la letteratura.
Cosa accadrebbe, dunque, se al fondo del miracolo della nascita si riconoscesse costantemente lo spettro di una “morte non morte”, ovvero di un annientamento mai liberatorio e crudelmente inutile? Rinveniamo qui la vena di originalitàcontenuta nella pièce, che non si limita a riproporre la tematica del nichilismo e della décadence, ma piuttosto si interroga sulle possibilità della rinascita, a partire dalla distruzione di ogni certezza terrena e ultraterrena.
Questo spettacolo pone dei quesiti apparentemente banali, ma pur sempre gravidi di conseguenze. Cosa accadrebbe se si negasse agli artisti persino quel certo “je ne ce quoi” che li rende così particolari, cosa ne sarebbe dell’artista maledetto e alcolizzato? Bruschi risvegli. Forse ne abbiamo bisogno tutti, a nostro modo. Questa è la via del teatro, l’arte che più di tutte è capace di farci immergere nella finzione, al punto però di essere ancora capaci di vederne i contorni piùdrammaticamente reali. Di fronte a uno spettacolo così bisogna avere la forza di essere umili, di lasciarsi condurre da chi certe strade le ha già percorse.
“St. Nicholas” di Conor McPherson (trad. Anna Ashton Parnanzini) in streaming sul portale del Teatro Belli il 20 e 21 dicembre è un reading agìto e a cura di Valerio Binasco, Trilly Produzioni.