Confrontandosi con le ingiustizie più terribili delle vita, due tredicenni imparano a lottare per un bene prezioso: la loro terra, il poetico silenzio dei campi, l’amore genuino degli animali, i colori sinceri della natura.
Il regista Silvio Peroni torna in scena, all’interno della rassegna “Trend” del Teatro Belli, con lo spettacolo “Bobby e Amy” di Emily Jenkins. Si tratta di un allestimento attento ed elaborato, condotto con grande ritmo, in cui, tuttavia, emerge una complessa problematica. Con uno sguardo vigile all’eredità del teatro fisico, delegando poco o nulla alla scenografia, grazie a un impegno attoriale di grande intensità e precisione, Peroni presenta uno spettacolo la cui piena godibilità non è raggiungibile attraverso uno schermo. I corpi e i messaggi così potentemente e finemente messi in scena ricordano le movenze sinuose di un amante che, tuttavia, rimane sempre dietro un vetro, restando perpetuo oggetto di desiderio, ma pur sempre irraggiungibile.
Come qualcuno ha detto, il teatro dovrebbe essere capace di rivolgersi, più che alla razionalità, all’animalità dello spettatore, ovvero al suo istinto, all’aspetto più irrazionale ed emotivo dell’essere umano. Peroni rimane un regista capace di far parlare i suoi attori con un linguaggio istintivo, puro e netto, grazie a un lavoro acuto e studiato. Mi torna in mente un libro del celebre filosofo francese Jacques Derrida che, uscendo dalla doccia e ritrovandosi completamente nudo, incontra il suo piccolo animale domestico in un faccia a faccia surreale ed emblematico. In fondo, il teatro si trova oggi nella medesima situazione descritta daDerrida ne “L’animale che dunque sono”, ovvero completamente nudo al centro della scena, privo di armi e costumi di fronte a una telecamera e a uno spettatore addomesticato di cui non conosce propriamente il linguaggio, di cui ascolta ogni lamento, cerca l’affetto e le attenzioni, ma a cui non può dare voce.
Attraverso gli occhi di due ragazzini inglesi, anonimi ma dagli animi indomabili, prende forma un’intera città come in uno di quei libri, che fino a non molto tempo fa si era soliti regalare ai bambini per Natale, in cui aprendoli si scoprivano tetti e strade innevate, paesaggi tridimensionali fatti di carta e di una semplicità estrema, concreta e raffinata. Nel maglione a righe indossato da Bobby (Mauro Lamantia) rivediamo un mondo semplice, un po’ stinto e malinconico, vero; attraverso gli occhi di Amy (Petra Valentini) un’inconsolabile solitudine, nonché l’inaccettabile sincerità della disillusione dei bambini, che dolorosamente diventano adulti. Si evocano nel testo scenari ormai persi, periferici e obsoleti a confronto con le metropoli, ovvero rispetto a quelle realtà che oggi quotidianamente si scontrano con i limiti sanitari e legislativi, dovuti allo stato emergenziale in cui viviamo. Mentre le città si chiudono in sé stesse, campi e animali rimangono liberi e sciolti. Grazie a quest’ultimi Bobby e Amy escono dal loro terribile isolamento con un gesto di estrema semplicità: dando un nome a una bestia selvatica, assistendo alla sua nascita, prendendosene cura e conservando sempre quei dolorosi ricordi d’infanzia con amorevole memoria.
Dal 16 al 19 dicembre in streaming sul portale del Teatro Belli, “Bobby e Amy” di Emily Jenkins, traduzione di Natalia di Giammarco, con Petra Valentini e Mauro Lamantia, regia di Silvio Peroni, una produzione Khora.Teatro / Compagnia Mauri-Sturno.