Juliette Gréco, la ribelle: adieu!

 di Andrea Cavazzini

Grande signora, mostro sacro, leggenda … i superlativi non sono mai mancati per evocare Juliette Gréco, scomparsa ieri alla veneranda età di 93 anni. Madrina della canzone francese, l’indimenticabile Belfagor, cantante e attrice vibrante, ha segnato l’immaginario francese e non solo con il suo talento singolare e tutta la sua personalità.

Tutta la sua vita artistica, è stata una vita di rivoluzione. Inizialmente canta canzoni scritte da Raymond Queneau, e da Jean Paul Sartre, oltre alle composizioni realizzate per lei da Joseph Kosma. Definita una cantante intellettuale, il pubblico si rende subito conto che il suo cantare è diverso, fatto con intelligenza, sensibilità, poesia e soprattutto con immensa libertà.

Ha cantato tutti i grandi nomi, tutti i grandi artisti della canzone francese, tutti i grandi autori e tutti i grandi compositori da Quenau a Sartre  come detto, ma anche  Brassens e Gainsbourg e questo è certamente ciò che l ha resa una personalità unica non solo dal punto di vista della sua popolarità e fama, ma anche del suo significato storico.

C’era qualcosa di veramente unico nel suo modo di cantare, tanta precisione, tante idee, così tanta libertà nella canzone, una delle prime artiste capaci di far esplodere la bellezza femminile, la bellezza e il linguaggio del corpo al servizio del canto

Diceva di lei: “Sono un prodotto di lusso, sono un prodotto da esportare”. Incarnava una certa immagine della Francia e di Parigi, era diventata una specie di bandiera francese, ma anche una bandiera nera, la bandiera nera  del suo vestito. E Juliette Gréco incarnava questa capacita tutta francese di trasformare la letteratura in un oggetto popolare, lei che incarnava il vento di libertà che soffiò dopo la Liberazione di Parigi, per questa giovane ragazza del Sud che salì nella capitale in un quartiere che sarebbe diventato il centro della vita intellettuale nel secondo dopoguerra diventando da li a poco  la musa degli esistenzialisti.

Una donna libera, in anticipo sui tempi, incontrò Miles Davis, che voleva sposarla in un momento in cui i matrimoni misti erano ancora proibiti in molti stati americani. A Juliette non importava, ma voleva restare in Francia e non si sposò. Come nella canzone “Io sono come sono”, ama chi la ama, e non è colpa sua se non è la stessa che ama ogni volta. Ha sposato l’attore Philippe Lemaire con il quale avrà una figlia, una relazione con il produttore americano Darryl  Zanuck, girerà, in diverse sue produzioni, con in particolare Orson Welles. Sarà anche la moglie di Michel Piccoli per undici anni.

Negli anni ’60 amava esibirsi per i giovani  e lo faceva senza richiedere alcun compenso e fu in quegli anni che divenne una star televisiva con lo sceneggiato  “Belfagor, il fantasma del Louvre” quando la televisione a colori era ancora lontana dal vedersi. Tuttavia non smise mai di fare ciò che più amava: cantare cosa che continuò a fare nonostante il passare incessante degli anni fino a pochi anni fa con i suoi recital, una definizione che lei trovava più elegante rispetto al “volgare“concerto. E a chi le chiedeva della sua longevità lei rispondeva: “Domandate al pubblico

Juliette dal profumo inebriante ha lasciato un segno sul suo cammino e quando le parlavano del mito  Gréco lei ribatteva ridendo e  battendo le mani:  “L’ho ucciso” La risata era vitale per Juliette. “Se non ridiamo più, è la morte. La morte, la compagna più sicura”.