Addio a Peter Green, chitarrista che segnò un’epoca tra sprazzi di genio e follia acida.

 di Andrea Cavazzini

Si è spento ieri Peter Green, uno dei migliori chitarristi blues britannici degli anni ‘60. Nel ’67 insieme al batterista Mick Fleetwood e al bassista John McVie fondò i Fleetwood Mac, band anglo-americana che ha venduto più di 120 milioni di dischi, rendendola una delle band più vendute nel mondo e per i quali aveva lasciato i Bluesbreakers di John Mayall che poi fu costretto a lasciare nel 1970 a causa dei suoi problemi con la droga.

Famoso per i suoi riff che furono il marchio di fabbrica dei primi Fleetwood Mac, Peter prese per la prima volta una chitarra in mano all’età di 10 anni come molti suoi coetanei e poi giù a divorare vinili che provenivano dagli Stati Uniti: da Buddy Guy a Muddy Waters fino a B.B.King che ammise di aver “sudato freddo” quando Green apparve sulla scena musicale, tanta era la sua bravura.

Ma la sua carriera iniziò suonando il basso, poi l’incontro che segnò il suo destino professionale con “slow handEric Clapton, che lo convinse a puntare sulla chitarra dopo averlo visto suonare con la sua splendida Gibson Les PaulSostituire poi Clapton nella lanciatissima formazione fondata da Mayall di quei tempi, la pìù celebre degli anni ’60, non era impresa da poco, tanto che i fans all’inizio erano piuttosto perplessi, ma alla lunga riuscì ad imporsi tanto da essere soprannominato “The Green God”.

Poi l’esperienza con i Fleetwood Mac con i quali incise solo tre album,  dove emersero subito le sue capacità compositive: musicista geniale e innovativo e con uno stile inconfondibile. Basti pensare a Black Magic Woman che incorporava blues latino con degli incisi folgoranti, un brano che fu ripreso successivamente da Carlos Santana che ne fece una hit mondiale. E poi i suoi riff martellanti presenti in Oh Well hanno ispirato tutto il movimento metal o lo strumentale Albatross.

Ma anche Green non sfuggì alla tentazione della droga. Gli anni ’70 furono l’epoca si del rock ma anche dell’acido, binomio che accompagnò grandi musicisti come Syd Barret, Jimi Hendrix,  Janis Joplin, che sono solo alcuni di un nutrito gruppetto di geniali quanto folli artisti che cercarono nello sballo fonte di ispirazione e che rappresentarono quel filo rosso che univa musica e droga, tutt’altro che sottile; inossidabile legame che segnò le loro carriere. E Green sperimentando l’acido era diventato sempre più irrazionale. Le sue canzoni divennero strazianti e paranoiche, tanto che fu costretto ad abbandonare il gruppo che aveva contribuito a fondare.

La salute mentale peggiorò poco dopo, e alla fine gli fu diagnosticata la schizofrenia indotta da droghe. Trascorse lunghi periodi in ospedali psichiatrici sottoponendosi a terapia elettroconvulsiva, Green riemerse di volta in volta nel corso degli anni, soprattutto quando nel 1998 i Fleetwood Mac assursero agli allori nella Rock And Roll Hall of Fame. Mick Fleetwood parlando del suo vecchio amico dichiarò alla stampa: “I Fleetwood Mac non li ho fondati io, lo ha fatto Peter Green grazie al quale siamo arrivati qui dopo 50 anni”.