L’ultima voce dei “Big Six” se n’è andato: Addio a John Lewis

 di Andrea Cavazzini

John Lewis icona per i diritti civili in USA è morto la scorsa settimana a  80 anni dopo una lunga malattia, una voce potente contro il razzismo e strenuo difensore dei diritti umani fino alla fine della sua vita, espresse il suo sostegno al movimento Black Lives Matter, all indomani della tragica gestione dell’arresto di George Floyd che sfociò nel suo omicidio ad opera della Polizia.

Attraverso i decenni, non solo ha dato tutto sè stesso alla causa della libertà e della giustizia, ma ha ispirato generazioni che lo hanno seguito per cercare di essere all’altezza del suo esempio.

Lewis, è stato uno dei “Freedom Riders” che si è battuto per un pari trattamento a bordo degli autobus e subì durante il così detto “Bloody Sunday” nel 1965 un pestaggio selvaggio ad opera delle forze dell’ordine dello Stato “bianco” dell’Alabama che gli procurò la frattura del cranio, mentre dimostrava per il diritto al voto dei neri, alla testa del corteo con i pugni serrati nel cappotto,

Fu il più giovane e ultimo sopravvissuto dei sei attivisti( Big Six) per i diritti civili nel gruppo guidato da Martin Luther King   che conobbe per la prima volta a soli 18 anni, continuando a svolgere un ruolo vitale nel movimento per i diritti civili che si batteva per l’uguaglianza dei neri in un’America alle prese con il fanatismo razziale e la segregazione negli stati del sud. Nella sua lunga militanza fu arrestato per ben 40 volte negli anni ’60 e altre cinque come membro del Congresso.

Il giorno del voto di impeachment del Presidente Trump disse: “Quando vedi qualcosa che non è giusto, hai l’obbligo morale di dire qualcosa e soprattutto di fare qualcosa. I nostri figli e i loro figli un giorno ci chiederanno “Che cosa hai fatto’, Che cosa hai detto?”

La sua prima protesta non violenta, scrisse nel suo libro “Cammino con il vento”, fu contro la madre ed il padre che volevano uccidere le galline e venderle al negozio di dolciumi dietro casa, per barattarle con farina e zucchero-. Era un giovane studente di teologia nel 1961, quando alla radio un giorno ascoltò un discorso di Martin Luther King, parole che colpirono profondamente John che decise di scrivergli ricevendo in risposta un biglietto dell’autobus e un invito ad andare a trovarlo. Era il periodo dell’amministrazione Kennedy con John alla Presidenza e Robert al Ministero della giustizia che si era impegnato per superare il principio “liberi ma separati”, odioso e dilagante pregiudizio, retaggio dell’epoca coloniale che ammorbava quell’America alle prese anche con le prime contestazioni studentesche, che sarebbero poi esplose nel ’68 con la recrudescenza della guerra in Vietnam. Contestazioni che misero a nudo tutto il fallimento politico e sociale di una Nazione stretta nella spirale del maccartismo che contribuì a creare un oscurantismo ideologico con la messa all’indice di tanti artisti e intellettuali primo fra tutti Charlie Chaplin.

John Lewis ha rappresentato la coscienza gentile, di una parte dell’America, ma anche di intere generazioni di liberal di tutto il mondo che hanno sempre mal tollerato  il razzismo sistemico degli USA,  evitando al contempo  di confrontarsi  con i misfatti e gli orrori  perpetrati dal colonialismo e mettendo a nudo l’incapacità di non fare nulla al riguardo.