di Federica Ranocchia
In questi mesi più che mai abbiamo sentito parlare di “teatro sullo schermo”. In tempi non sospetti, in cui “quarantena” e “lockdown” erano termini remoti, la compagnia Carrozzeria Orfeo ne aveva già fatto volontaria esperienza con “Thanks!”. Prima regia al cinema per Gabriele Di Luca – drammaturgo, regista e attore del gruppo – il film è stato presentato lo scorso autunno al teatro Eliseo per Eliseo Cinema e Rai Cinema. La pellicola è disponibile dal 15 giugno sulla piattaforma streaming di Netflix.
“Thanks!” è la trasposizione cinematografica di “Thanks for Vaselina” (2013), il primo spettacolo della trilogia che conta al suo interno “Animali da Bar” (2015) e “Cous Cous Klan” (2017), un’acclamatissima serie di storie fallimentari. Infatti, sono le storie a risultare l’elemento chiave di Carrozzeria Orfeo, il comune denominatore di ogni loro lavoro: le storie degli ultimi, degli emarginati che giungono prepotenti e inesorabili lasciando lo spettatore spiazzato.
Nel caso di “Thanks!” il disincanto narrativo si snoda attorno a Fil (Antonio Folletto) e Charlie (Massimiliano Setti) due trentenni, incredibilmente antitetici, che selezionano tipologie pregiate di marijuana in un fatiscente appartamento. I due condividono l’obiettivo di esportare i loro semi in Costa Rica così da avviare le coltivazioni, i cui guadagni gli permetterebbero di coronare il loro sogno: aprire il primo coffee shop al mondo in mezzo alla giungla. Per eludere i controlli aeroportuali i due si affidano al fondoschiena di Wanda (Francesca Turrini), una ragazza con problemi di autostima che accetterà di partecipare al piano. Prendono parte alla vicenda Lucia -la madre ludopatica di Fil- e Annalisa/il padre di Fil che, abbandonata la famiglia anni prima, torna nei panni di una transessuale, rispettivamente interpretati da Beatrice Schiros (Lucia) e Nicola Zingaretti(Annalisa). I due attori calzano i difficili ruoli con una delicatezza disarmante: distrutti dalle sventure del fato il loro ricongiungimento appare poetico e inevitabile. Quando la sofferenza arriva al culmine Lucia e Annalisa non possono far a meno di guardarsi negli occhi e di arrendersi al perdono e ai sentimenti, regalandoci una delle scene più toccanti del film, che sul grande schermo può permettersi uno spazio silenzioso, sospeso, intimo, di difficile realizzazione su un palcoscenico.
Il film permette di guardare con i nostri occhi varie situazioni che nello spettacolo teatrale rimanevano precluse: il corso di autostima a cui partecipa Wanda e la triste sorte del fratellino, la setta religiosa di cui risulta essere prigioniera Annalisa, il contesto degradante nel quale Lucia tenta di prendersi cura della vecchia prozia in fin di vita. Queste storie parallele vengono svelate, grazie alla possibilità di poter facilmente uscire dalle mura di casa di Fil e Charlie.
Il montaggio è veloce e ci tiene incollati ai personaggi, l’uso frequente di piani medi e riprese a mezzo busto permette allo spettatore di seguire i serratissimi dialoghi con facilità. Questa scelta -probabilmente data dalla volontà di esaltare la drammaturgia come elemento centrale della narrazione- rende “Thanks!”, soprattutto nelle prime scene, un prodotto estremamente particolare. La frenesia ossessiva con cui la telecamera segue i protagonisti costruisce attorno a loro un clima inverosimile dal quale, una volta abituati, ci si può lasciare travolgere: i colori vividi e contrastanti degli interni dell’appartamento di Fil avvolgono i personaggi in uno spazio altro, un posto di mezzo tra la realtà e il fantastico che ci immerge in un surrealismo visivo tipicamente teatrale. Le scelte fotografiche, curate da Paolo Carnera, ci scagliano all’improvviso, in un’ambientazione esterna, asettica, capace di riportarci in un risaputo universo metropolitano.
La colonna sonora accompagna abilmente battute e silenzi ed è composta (come per lo spettacolo teatrale) da Massimiliano Setti.
La trasposizione cinematografica permette l’esaltazione di numerosi fattori, tuttavia è percepibile un calo di esplosività rispetto alla versione teatrale. La caratteristica propensione al politicamente scorretto –tratto unico di Carrozzeria Orfeo- viene in “Thanks!” attenuata. Anche la scelta di censurare “Vaselina” dal titolo è probabilmente dovuta alla necessità di avere a che fare con il grande schermo, dove l’estremizzazione non mitigata e un black humor eccessivo potrebbero risultare molto pesanti.
Nonostante questo, la costruzione e le interpretazioni dei personaggi sono così ben fatte da tenere in piedi la verosimilità della narrazione, raggiungendo l’apice del connubio tra drammaticità e ironia nella tagliente battuta finale:
“…e, come disse il buon Dio scaccolandosi nella sua Jacuzzi: mi sa che ho creato molti amanti, ma non altrettanto amore.”
Nel caso di “Thanks!”, l’ambizioso tentativo di portare al cinema un lavoro teatrale è compiuto. La vicenda è talmente potente da trovare il suo spazio sullo schermo allo stesso modo di come l’ha trovato in origine sul palcoscenico perché risulta primaria e irrinunciabile. I controversi e problematici personaggi sono vivi, hanno l’urgenza di raccontare la propria storia, facendolo con irriverenza e senza mezzi termini.
E Il pubblico non può fare a meno di restare in ascolto.