di Ilaria Sambucci
Un amore sconfinato per la danza è quello che prova Corona Paone, la straordinaria Étoile del Teatro San Carlo di Napoli che ha avuto modo di studiare e perfezionarsi insieme ai più grandi artisti del panorama mondiale come R. Nureyev, V. Vassiliev, R. Petit, Z. Prebil, R. Nunez, E. Terabust, C. Fracci e numerosi altri. Tra i danzatori con cui ha lavorato ricordiamo solo alcuni come: Roberto Bolle, Maximiliano Guerra, Carla Fracci, Luciana Savignano, Alessandra Ferri, Stefan Fournial, Andrei Fedotov, Luigi Ferrone, Giuseppe Picone, R. Twesly, Andre de la Roche, Marcello Angelini, Y. Boquin. Oggi dirige insieme a suo marito Luigi Ferrone un prestigioso centro di formazione professionale a Napoli la Crown Ballet School trasmettendo ai suoi allievi l’amore e la passione per l’arte della danza.
Cara Corona, ci racconti il tuo primo giorno in sala danza da allieva?
Ricordo che il mio primo giorno di danza è stato un momento di grande libertà. Mia madre mi ha iscritta non per una mia richiesta, ma perché ero la rompiscatole della casa, danzavo tutto il giorno dalla mattina alla sera e non permettevo di vedere la Tv a nessuno, perché la guardavo io per memorizzare ed imparare tutti i balletti che venivano trasmessi. Ho iniziato da autodidatta nel corridoio di casa, e quindi mia madre vedendo che non facevo altro che ballare, ha pensato bene di iscrivermi ad una scuola di danza. Quando misi piede per la prima volta in sala fu per me un momento di gioia incredibile, perché finalmente potevo imparare ciò che mi rendeva felice, la danza
Nella tua lunga carriera quanto hai dovuto sopportare il peso della competizione?
La competizione c’è stata ed è giusto che ci sia. È stato un peso “piacevole”, perché la competizione è sicuramente di stimolo, ti porta a sfidarti, a superare dei limiti e a metterti in gioco giorno per giorno. La competizione c’è e ci sarà sempre in qualsiasi ambito artistico e professionale ma è produttiva perchè ti aiuta a crescere.
Qual è il più grande sacrificio che hai fatto per riuscire a ottenere la nomina di étoile?
In una vita dove la tua passione diventa il tuo lavoro io penso che sia solo una grande fortuna e tutto ciò che è sacrificio, siccome è accompagnato da una grande passione si trasforma in grande energia e amore. Un mio collega mi chiama la “Danzatrice rituale”, perché la mia vita è stata sempre un rituale dove la danza e la famiglia sono stati i miei fulcri principali. Ogni sacrificio è stato incentrato a raggiungere gli obbiettivi che mi ero prefissata ovvero di andare avanti in questa carriera e di portare avanti la mia famiglia.
C’è qualche ruolo che un ruolo che avesti voluto fare e non hai mai avuto modo di interpretare?
In realtà io ho concluso il mio lavoro al San Carlo pienamente felice e arricchita. Ho spaziato talmente tanto dal repertorio classico a quello contemporaneo, che mi hanno veramente resa soddisfatta di quello che ho fatto, e tengo fortemente vivo il ricordo di tutti i ruoli danzati che sono tutti delle grandi storie d’amore. Anche la Giselle Mats Ek, che era un ruolo che ho amato tantissimo, l’ho studiata per mesi in sala, ma che poi non ho portato in scena, allo stesso modo, mi ha fatto crescere.
Cos’è la danza per te?
Io ho sempre detto che la danza è amore allo stato puro, perché l’amore ti porta a muoverti con grande energia verso questa tua passione. Adesso invece penso che per me la danza è respiro. Perché non si può fare a meno del respiro, ed io non posso fare a meno della danza. Appena mi alzo dal letto penso a muovermi, metto la musica e inizio a ballare. Vedo un pentagramma dove le note si muovono e mi trasportano, mi portano a sognare, ad evadere, a trasferirmi in un altro mondo.
Cos’è più importante in un ballerino le doti fisiche o il talento?
Sicuramente le doti fisiche, che sono poi gli strumenti che servono a creare tutto il percorso di un danzatore, sono fondamentali, però non mi fermo mai a quello perché la danza deve comunicare, emozionare. Deve essere un giusto mix di entrambe le cose. È fondamentale il carisma, ci sono artisti come M. Baryšnikov, che sono dei veri e propri animali da palcoscenico, capaci di rapire tutto il pubblico in sala con uno sguardo, o con una sola camminata.
Al giorno d’oggi secondo te qual è il paese che sforna più talenti?
Sicuramente la Russia tira fuori elementi spettacolari, ma anche il New York City Ballet, l’Opera di Parigi, tutte le grandi compagnie e le grandi scuole. Ultimamente anche i nostri Teatri hanno fantastici elementi come Nicoletta Manni étoile al Teatro Alla Scala di Milano, Rebecca Bianchi étoile al Teatro dell’Opera di Roma, Alessandro Staiano e Claudia D’Antonio ballerini del Teatro San Carlo di Napoli.
Purtroppo da decenni, tanti dei nostri talenti italiani sono costretti ad andare all’estero dove hanno più possibilità lavorative, e continuano il loro percorso in paesi dove la danza è valorizzata, al contrario dell’Italia che offre ben poco ai giovani danzatori.
Quali sono i tuoi danzatori preferiti?
Roberto Bolle, Sergei Polunin, Rudolf Nureyev, Michail Baryšnikov e Massimo Murru. Tra le danzatrici mi piace tantissimo Marianela Núñez e poi Svetlana Zakharova per la sua perfezione tecnica ma dal punto di vista interpretativo mi piace solo per alcuni ruoli, non per tutti.
Che effetto fa ballare col proprio marito. Capita che litigate artisticamente?
Danzare col proprio compagno è sicuramente un’esperienza bella perché c’è un feeling che va al di là il sodalizio artistico, soprattutto in scena c’è un modo di sentirsi completamente diversi essendoci questa intimità, ma nelle prove proprio perché c’è quell’intimità si litiga. Ci sono stati diversi direttori al Teatro San Carlo che addirittura vietavano di far danzare insieme marito e moglie, per evitare proprio i litigi di coppia. Però, magicamente, se si danza col proprio compagno, non c’è bisogno di fare tantissime prove come quando si lavora con partner diversi, si può provare molto meno proprio perché c’è un feeling che va oltre e quindi ci si capisce al volo.
Hai avuto la possibilità di studiare e di calcare il palco con i più grandi artisti del ‘900. C’ è qualcuno in particolare che ha lasciato un segno indelebile nella tua vita?
Rudolf Nureyev ha cambiato completamente le nostre vite lì al Teatro San Carlo, perché stare con lui in sala significava vivere un’atmosfera sospesa nel tempo. Dopo è arrivato Roland Petit, ed è stato per me un incontro magico. Lui mi ha affidato per la prima volta il ruolo di “Pipistrello” a pochi mesi dalla nomina di prima ballerina e successivamente ”Le Jeune Homme Et La Mort” con il quale sono stata premiata più volte al Premio Positano.
È più difficile svolgere il compito dell’insegnante o del ballerino?
Per me sono estremamente sullo stesso piano, perchè sono entrambi lavori di grande sacrificio e responsabilità. Quello che tu svolgi sul tuo corpo per la tua formazione, per la tua crescita è lo stesso che poi dovrai fare su quello dei tuoi allievi. Gli dovrai fornire la didattica, dare consigli, dovrai anche essere insegnante di pedagogia e psicologia. È un mondo immenso quello dell’insegnamento, quello che fai per te stesso poi lo devi passare in eredità agli allievi.
Come inviteresti i giovani ad affacciarsi al mondo della danza?
Invito i giovani a perseguire la strada della danza perché è un percorso davvero affasciante. La danza aiuta a raccontarsi e a comunicare, è un mezzo espressivo potente e chiunque si avvicina alla danza, ha la possibilità di far parlare la propria anima.
Ringrazio la maestra Corona Paone, per averci trasmesso tutto il suo immenso amore per questa meravigliosa disciplina che è la danza, sperando di tornare presto ad ammirarla nei teatri.