Mumble Mumble all’Altrove Teatro: La Recensione

 

di Alessandra Antonazzo

 

 

“Mumble Mumble ovvero confessioni di un orfano d’arte”, questo il titolo completo dello spettacolo portato in scena dal grandissimo Emanuele Salce per la regia di Timothy Jomm all’Altrove teatro di Roma sabato 29 febbraio e domenica primo marzo.

La pièce, che negli anni passati ha girato l’Italia con moltissime repliche e altrettanti sold out, è un atto unico in tre parti, sapientemente scritto insieme ad Andrea Pergolari da Salce stesso, di recente impegnato sul piccolo schermo nel ruolo del sindaco Fiorello La Guardia nella fiction Rai La vita promessa 2.

La rappresentazione ha inizio con il protagonista che, avvolto in un pesante mantello, recita Dostoevskij, pronto per andare in scena di lì a poche settimane. Uno spettacolo nello spettacolo interrotto ad intervalli regolari da Paolo Giommarelli. L’attore, nel ruolo dell’amico-regista, sa farsi provocatore, complice, confessore e testimone di questo racconto sincero e scanzonato. Così, lanciandosi in coinvolgenti incursioni poetiche, esercizi di rilassamento e tecniche teatral-botaniche convince finalmente Salce a raccontare qualcosa di più autentico. A parlare di sé e del suo vissuto all’ombra dei suoi padri, giganti del teatro e dello spettacolo. Ad aprirsi col pubblico senza remore raccontando il momento in cui è stato costretto a dir loro addio.

Voce narrante energica e coinvolgente, Salce si approccia all’argomento della morte con lo strumento potente e disarmante della risata. La dipartita dei suoi due padri, Luciano Salce e Vittorio Gassman, nuovo compagno della madre Diletta D’Andrea, viene affrontata con pungente ironia, procedendo a passi svelti di ricordo in ricordo in un potente mix di registri linguistici, toni e contesti che consentono al pubblico di ritrovarsi catapultato in quelle stesse situazioni, divertenti quanto dolorose.

Un monologo incalzante, durante il quale le strepitose doti attoriali di Salce, insieme a un esilarante trasformismo vocale, riescono a dar vita a numerosissimi personaggi, facendo sembrare il palco un brulicare di grottesche figure della Roma del tempo. Da Iolanda l’infermiera all’addetto delle onoranze funebri, dal tabaccaio al barbiere di zona, dal macellaio al “para-parente” preoccupato per il necrologio.

Soprannominato “Mumble Mumble” fin da bambino per la sua indole introversa e incline al borbottio, il protagonista ci consente di entrare in punta di piedi nella sua storia, delineando un ricordo affettuoso, sincero e mai scontato di Luciano Salce e Vittorio Gassman. “Nato e cresciuto accartocciato come muschio ai piedi di quei giganti” spiega Salce che ci racconta due figure paterne preziose quanto contraddittorie con le quali prima bambino, poi giovane uomo ha dovuto confrontarsi.

Il protagonista si pone e pone al pubblico una domanda: “Cosa si fa quando muore un papà?”. È lui stesso a fornire allo spettatore una risposta, trascinandolo con estrema facilità dal riso sfrenato alla commozione in un’atmosfera visiva e sonora creata ad hoc fatta di luci e buio a intermittenza, squilli telefonici, voci e suoni dal richiamo onirico. (Musiche a cura di Federico De Antoni, disegno luci a cura di Giacomo Cursi e Marco D’Amelio). Proprio come gli suggerisce Giommarelli in scena, infatti, il protagonista riesce ad affrontare l’argomento del lutto in maniera socratica, domandandosi perché un atto liberatorio e naturale come il congedarsi dalla vita debba creare tanti imbarazzi e problemi.

A completamento del racconto, Salce inserisce un’ultima “dipartita” metaforica, quella dalla sua fama di sciupafemmine. Con un vistoso climax ascendente di risate e comicità, l’attore descrive un sé poco più che trentenne alle prese con una situazione alquanto imbarazzante. Basterà un impellente e devastante bisogno fisiologico a rovinare un appuntamento galante con una bella ragazza australiana? Niente affatto. Anche in questo caso l’amore, custode di preziosi segreti e stratagemmi, l’avrà vinta sulla morte.