“TEMPO DI CHET” in scena all’Auditorium: La recensione

Rarefatta l’atmosfera, delicato il fraseggio, morbido il suono che apre l’orecchio all’altrove; è appoggiato al legnoso bancone di un bar Chet Baker racconta la sua storia.

Abita l’Auditorium Parco della musica di Roma, “Tempo di Chet” di Leo Muscato e Laura Perini in scena dal 16 fino al 21 Gennaio come spazio di convergenza tra drammaturgia e suono.

Ed ecco Chet bambino con la sua prima tromba, ecco che si dispone ad arruolarsi nell’esercito, poi lo squillo di telefono, la voce di Jarry Mulligan: le immagini si rincorrono, percorrono gli spazi, si spandono da un tempo all’altro nella repentina alternanza fra musica e azione.

Se l’esecuzione dal vivo di Paolo Fresu, il suono profondo della tromba e del flicorno, avvolgono le scene in un flusso ininterrotto; è la scenografia architettonica su due piani (Andrea Belli) a ricondurci indietro nel tempo, la luce di vecchie insegne led (Alessandro Verazzi) a proiettare l’ascoltatore su altre atmosfere.

Il suono limpido della tromba, l’incessante creazione di nuove linee melodiche; si rincorrono i momenti, si aprono ad una narrazione intimistica entro cui brulicano voci, racconti, personaggi: Charlie Parker e i concerti sulla West Coast, Mulligan, Whitlock, Hamilton, il quartetto senza piano, fra tromba e sax; su “giochi sottilissimi di contrappunto”.

Poi un’inversione di rotta, il periodo in Italia, poi il lento insinuarsi della droga, dell’eroina, seduti a turno su una poltrona rossa sul proscenio, altri volti ci offrono visioni altisonanti e parallele di un declino: sono Alessandro Averone, Rufin Doh, Paolo Li Volsi, Debora Mancini, Daniele Marmi, Mauro Parrinello, Graziano Piazza, Laura Pozone, a farsi interpreti di queste voci, ad armonizzare i loro timbri alla partitura musicale, a raccontare una vita, i suoi misteri.

“Quando suonava era di una malinconia disarmante” – in caduta libera, in costante oscillazione tra infinite morti, infinite rinascite, Chet non si arrende, continua a creare, ad improvvisare per “confondersi col mondo”.