di Laura Dotta Rosso
L’immigrazione affrontata in modo diverso dal consueto. “Il mio nome è Ulisse ma voi che siete i miei sudditi, potete chiamarmi nessuno”. La raffinatezza di questa frase mette in luce come un venditore di rose, nove volte su dieci immigrato, debba ogni giorno trasformare i rifiuti dei passanti in stimoli, incoraggiamenti, per continuare a vedere quel paese che lo sta ospitando, come la sua vita, la sua casa, il suo futuro, la fortuna tanto ricercata. Ulisse ascolta la musica,osserva attentamente le persone per comprendere chi più di tutti ha bisogno di regalare una rosa. Onore clandestino è lo spettacolo andato in scena l’8 e il 9 gennaio al Roma Fringe Festival, che ha voluto dare spazio al testo di Massimo Sconci, affrontando l’immigrazione senza stereotipi o banalità.
Massimo Sconci si trasforma semplicemente attraverso l’uso di una molletta sul naso, riesce a diventare italiano, a rendere credibile il personaggio di Gino, lavoratore al porto che non è razzista però……Le rose profumano di umanità, Ulisse è un immigrato, ma è anche un giovane uomo vergine, intimidito ed euforico per il suo primo contatto con l’altro sesso. Un monologo intelligente, semplice, chiaro e poetico. Peccato per alcune scene troppo prolungate che fanno migrare la mente dello spettatore dal focus del discorso. Il tecnico del suono , Josè de la Paz sempre presente in scena e creatore delle musiche, aiuta ad immergersi nelle atmosfere narrate con coerenza e delicatezza.
Dispiace per la poca interazione tra i due, rapporto che invece, se sviluppato diversamente, sarebbe potuto diventare interessante e maggiormente comunicativo per il pubblico. La presenza di Josè de la Paz, in alcuni momenti, sembra purtroppo solo un escamotage scenico per dare tempo al protagonista di cambiarsi. Onore clandestino è un lavoro trasversale, capace di riflettere sulla paura del genere umano che si trasforma in insensibilità. Perchè non si diventa campeggiatori per strada senza una storia, non si beve senza una mancanza, non si insulta solo per il potere, non si ama solo per cattiveria. “I fiori si sanno adattare, loro passano senza problemi da una fase all’altra, mica hanno la memoria” e noi, genere umano, che invece la memoria l’abbiamo, dovremo usarla per ricordare che una rosa, se si tocca senza odorarla o senza aver percepito il suo profumo , avrà solo spine. Noi uomini esistiamo in un’infinità di maniere diverse e non è un documento a raccontare la nostra storia.