La ripartizione dei ruoli aveva assegnato quello di una matura casalinga a una di loro, ma sono tutti egualmente giovani i 4 ragazzi della “Compagnia dei Masnadieri” che hanno dato vita allo spettacolo Mummy andato in scena al Teatro de’ Servi.
La lettura della sinossi sulle cartoline di sala ci predisponeva ad assistere a una interessante esplorazione di una vicenda di malessere esistenziale di una casalinga, che troviamo da subito sul palco (a sipario aperto, mentre la gente si sistema in platea), intenta a fumare compulsivamente, sdraiandosi di quando in quando su un divano di quello che appare il salotto di un appartamento in cui campeggia un grande orologio, o ancora a simulare faccende di casa. L’attesa si consuma in questo insistito sguardo sul niente, prolessi involontariamente comica dello spettacolo a seguire.
La donna in vestaglia sembra rivolgersi nervosamente a dei figli fuori dalla scena, quando improvvisamente compare (verosimilmente entrata da una porta aperta di quello strano appartamento) una donna: racconta di essere la nuova vicina di casa sopraggiunta a scambiare saluti e presentazioni. La nuova venuta viene immediatamente accolta dalla padrona di casa con l’offerta di una spremuta di arancia, ma i suoi modi sono strani, perché tutti improntati al registro relazionale di una madre che si rivolge a un bambino. Dopo qualche scambio di battute sul generico, compare il marito della donna (si direbbe una parusia, anche lui al netto dell’ingombrante orpello di una scampanellata alla porta di ingresso, anche se la spiegazione arriverà nel finale), pure lui trattato alla medesima maniera, anche se con maggiore condiscendenza.
Le azioni proseguono con la medesima cifra: l’ineffabile padrona di casa continua a offrire generi di conforto sempre più stravaganti ai presenti.
Il punto di svolta sembra realizzarsi nel momento in cui la padrona di casa decide finalmente di rispondere a una chiamata telefonica che con insistenza si era ripetuta. Un ultimo arrivato, con camice bianco, chiarirà per tutti il senso di quel misterioso convergere di personaggi.
Un copione troppo sospeso nell’incertezza di percorrere il registro leggero, oppure quello surreale -senza nessuna riserva- che sembrava più congeniale all’intero impianto visto in scena, perché destinato a tenere mascherato fino alla fine l’epilogo. Bravi comunque gli attori.