Usciamo dalla sala e ci sorprendiamo a domandarci come possa ancora colpire una storia ambientata nei lontani anni Settanta, nella Germania ancora divisa in due, dove si sfiora un tema così distante- ma pienamente elaborato, perlomeno da noi – come il terrorismo.
Forse sarà che a colpirci non sarà stata tanto la storia in sé, quanto il significato annodato dentro la trama in cui -con buona pace delle unità aristoteliche- a fare più effetto è stata la trama secondaria: l’ignobile campagna di stampa montata da un giornalista di pochi scrupoli intorno a una vicenda giudiziaria di pochissimo rilievo.
Siamo insomma ancora dalle parti di Quarto potere: la riflessione che il regista Franco Però, grazie all’adattamento di Letizia Russo, intendeva proporci con questa riduzione teatrale del capolavoro dello scrittore premio Nobel Heinrich Boll mirava a processare la forza spietata della stampa scandalistica (oggi gli aggiornamenti -che non cambiano la sostanza del problema, aggravandone se possibile gli effetti- passano per le piattaforme social) capace di giocare sulle suggestioni di un fatto o di un personaggio, fino a disarticolare la realtà stessa dell’accaduto e a polverizzare il personaggio preso di mira.
La vicenda si snoda intorno alla figura della impeccabile governante (oggi diremmo colf) Katharina Blum, servizievole e indispensabile tuttofare nella casa del signor Hubert Blorna, facoltoso avvocato di industria, (Peppino Mazzotta) e di sua moglie architetto Trude Blorna (Ester Galazzi). La giovane Katharina (interpretata splendidamente da Elena Radonicich) in una serata di libertà dal lavoro incontra (siamo durante le festività di carnevale) al ballo da amici un certo “Ludwig Gotten”, con il quale si intratterrà nella propria casa in una notte d’amore. L’uomo al mattino si dileguerà perché ricercato dalla polizia per una rapina e per essere in odore di terrorismo. La polizia, sulle sue tracce, finirà con l’incrociare l’incolpevole e ignara Katharina, che verrà sottoposta –per una paventata correità- a un serrato interrogatorio da parte del truce commissario Erwin Beizmenne( lo ha eccezionalmente e con perfetta credibilità interpretato Emanuele Fortunati che si è prestato a un doppio ruolo, sostituendo nella parte l’attore titolare Francesco Migliaccio). Ma, si sa, nei corridoi degli uffici di polizia staziona sempre un giornalista e quello che avvicina il commissario è di una specie tra le più perverse: è Werner Totges(Riccardo Maranzana lo incarna, conferendogli tutte le sfumature negative che ti aspetti di trovare), eccitato dalla prospettiva di costruire intorno a quella piccola vicenda una storia appetitosa per i lettori del suo giornale, buona a farne lievitare le vendite.
Torneranno utili ai suoi obiettivi (condivisi anche dal commissario, per quell’insano binomio che si va formando tra potere costituito e addetti all’informazione) tutte le conoscenze del mondo di Katharine (a cominciare dal marito divorziato, dalla madre in fin di vita in ospedale e dai suoi stessi datori di lavoro): le dichiarazioni degli intervistati (in un gioco di decontestualizzazioni e di strategia suggestiva) verranno collazionate, finendo con il disegnare un degradato e ingiusto profilo morale della giovane, che non tarderà ad avvertire pienamente il meccanismo perverso che si va stringendo ai danni del suo onore, consapevolezza che non le lascerà altra scelta che quella della soppressione fisica del suo responsabile. L’epilogo svelerà tanti retroscena della vicenda, inclusa la copertura che si era inteso dare all’onore di un personaggio marginale nella storia, il facoltoso industriale Alois Straubleder (ancora Emanuele Fortunati) protagonista di incontri clandestini con la giovane Katharine: il suo onore e l’invisibilità dei suoi adulteri meritavano riguardo, anche a prezzo di disarcionare dalla sua esistenza agiata il povero avvocato Hubert Blorna (un tempo patrocinatore in esclusiva del ricco industriale) che si era schierato senza indugio a fianco della povera Katharina.
Il racconto procede per flashback proprio dall’epilogo della vicenda (la ragazza si presenta alla porta dell’assistente commissario Walter Moeding–Jacopo Morra-che mostra fin da subito, nei confronti della ragazza, una certa benevolenza) e si articola in schegge narrative della storia, impegnando più ambientazioni (la casa di Katharina, quella dei suoi datori di lavoro e il loro rifugio montano di vacanza, le stanze del commissariato, la sala da ballo dove è avvenuto l’incontro fatale, la casa della madrina Else Woltersheim – Maria Grazia Plos– che, insieme all’ipotetico marito, la sosterrà proteggendola).
Tutto avrebbe avuto uno svolgimento faticoso se non fosse stato sorretto da una scenografia tutto sommato semplice, ma che insieme al disegno luci, è stata di particolare effetto e supporto alla narrazione, sottolineando spazi ed evidenziando luoghi che davano modo così di scandire passaggi di tempo e imprimere ritmo allo spettacolo: scene di Domenico Franchi, costumi di Andrea Viotti e luci di Pasquale Mari. Produzione “Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale e Teatro Stabile di Catania”. Al Teatro Eliseo fino al 15 dicembre