Perfino da un garage scombinato arriva, vigoroso e imponente, l’ammonimento di un folle che ha deciso di nascondersi al mondo, comunicando solo “via social” (in un collegamento sempre attivo), la propria avversione ai modelli esistenziali contemporanei, quelli che insegnano a scambiare la sicurezza di una vita banalmente tranquilla con la disattivazione della vitalità del pensiero. Il folle del garage (Mario è il nome del personaggio) -interpretato da uno strepitoso Alessandro Benvenuti incarna il mito di Don Chisciotte. Facile intravedere nelle tante contraddizioni del presente i suoi mulini a vento, che lui prova a contrastare con indomita passione, anche a dispetto dei tentativi da parte del suo fedele scudiero Andrea (tenero e divertente nel ruolo Stefano Fresi) di opporgli principi di ragionevolezza.
Questa la sostanza narrativa dello spettacolo Don Chisci@tte approdato a Roma nel debutto di stagione al Teatro Golden, dove rimarrà fino al 15 dicembre con la regia di Davide Iodice.
Non si tratta, come è evidente fin da subito allo spettatore, di una riduzione, per quanto aggiornata, del capolavoro di Cervantes, ma proprio di una riscrittura, laddove però è fatta salva l’ispirazione di fondo dell’opera: la cavalleresca sfida del combattente, destinato a sicura sconfitta, e per questo prigioniero della propria alienazione dal mondo, contro i modelli esistenziali del suo tempo. Nel suo metodo di analisi della realtà, capace di inferire principi escatologici partendo dalla mancanza della mortadella, tutto sembra dirci che a essere necessario per l’uomo è l’istinto della rivolta (lui lo chiamail salto quantico della vita) contro la mediocrità del vivere, perfino inseguendo quell’impossibile utopia, che ci vorrebbe tutti quanti per il solo fatto di essere momentaneamente vivi legati a un giuramento d’amore, vero luogo di sintesi di tutte le nostre contraddizioni.
L’effetto comico è assicurato dal dialogo serrato con lo scudiero, che cerca di trovare un filo espositivo primario nella ricercatezza della fabulazione apparentemente astrusa del suo mentore/padrone, che, naturalmente come nel modello originale, vede nemici dappertutto, soprattutto in coloro che si sono assicurati il governo del mondo, approfittando della agevole addomesticabilità dei sudditi, zombie votanti, buoni solo a intrattenersi in vuoti trastulli.
Naturalmente una simile partitura può essere sorretta solo da caratterizzazioni attoriali di prim’ordine e i due protagonisti sulla scena danno fondo a tutte le loro notevoli risorse professionali, offrendo una prestazione eccellente, assolutamente apprezzata dal numeroso pubblico in sala. Le scene sono di Tiziano Fario, i costumi di Daniela Salernitano.