PAURA D’AMARE al Brancaccino: La recensione

di Giulio Petracchi

 

Una lettera d’amore scritta con riluttanza!

Frankie (Maria Rosaria Russo) è la cameriera del ristorante Terra sulla Nomentana, che dopo alcune relazioni infelici vive una vita tranquilla, preferendo guardare videocassette VHS di vecchi film nelle proprie quattro mura domestiche. Arriva al ristorante Johnny (Massimiliano Vado) appena uscito di prigione, viene assunto come cuoco. Johnny, un matrimonio fallito alle spalle e con la voglia di rifarsi una vita, immediatamente intravede in Frankie uno spirito affine per rinnovare la propria esistenza. Mentre Johnny fa del suo meglio per conquistare Frankie, lei cerca di proteggere se stessa dall’essere di nuovo ferita dall’ennesima dannata relazione.

L’allestimento di “Paura d’amare” scritto e riadattato (?) da Giulio Manfredonia in scena al Teatro Brancaccino (oggi pomeriggio ultima replica – ore 18,45), ci ha lasciato con una sensazione di scarsa padronanza della gestione del mezzo teatrale, sia fuori che in scena.

E il pensiero non può non andare al bel film di Gary Marshall del 1991 dove la trama era tutto’ altro che prevedibile.

Prima di tutto lascia perplessi la regia. La suddivisione degli spazi risulta problematica, confusa, con un’intesa di contemporaneità fra gli attori troppo legata ad un ipotetico “ciak” che non accade, e non si sente. Se ne sente, però, l’incombere del regista come se la recitazione fosse un immenso provino cinematografico, destinato più al consenso interno, che non ad una vera relazione. Maria Rosaria Russo appare poco convincente nel ruolo di Francesca-Frankie, troppo leggera e monocorde per esprimere il peso scenico di un ruolo da protagonista.

Bene, ma non benissimo, Massimiliano Vado, che tuttavia sostiene con generosità e forza la compagna di scena coprotagonista. Su tutti emerge la prova del bravissimo Massimo Cagnina, credibilissimo, intenso e divertente sia nel ruolo del cuoco che in quello dell’amico omosessuale. Gli altri interpreti scadono troppo frequentemente nel macchiettistico, poco curato il lavoro sui personaggi, da risultare soltanto accennati senza un preciso approfondimento.

Rende gradevole e leggera la durata dello spettacolo la scelta della colonna sonora, piacevolmente vintage (si spazia da Purple Rain a Romeo & Juliet), mentre appesantisce e a tratti irrita il costante riferimento alla “romanizzazione” della commedia che sarebbe stato meglio lasciare nella sua collocazione originale cosi come l’aveva immaginata Terrence Mac Nally.

Esperimento riuscito solo in parte e che richiederebbe un maggiore approfondimento sia sull’aspetto autoriale che registico.

Teatro Roma
Flaminia Zacchilli

Amanti: in terapia si piange

Una commedia forse troppo leggera, dedita a fare luce sulla controversa figura degli “amanti” e sul peso delle relazioni extraconiugali 

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