L’uomo è seduto, una donna lo raggiunge trafelata; il contesto ha tutte le coordinate di un colloquio di lavoro ma al di là degli iniziali convenevoli, un sostrato del tutto inopinato sembra gradualmente fuoriuscire: laddove la supponenza di lui poco attecchisce alla di lei trasparenza, avviene l’innesto di una diatriba che trova nella verosimiglianza il suo filo trasversale.
“La nostra finanziaria è una fabbrica della verità” – chiudendosi nel paradosso che trova nel fraintendimento l’inevitabile conseguenza dell’eccesso di verosimile, il primo atto sembra subire una sospensione: una borsa, il suo contenuto diviene oggetto di passaggio, significativo collante con il secondo atto.
Se il primo appariva veicolato da uno sguardo oggettivo sulla realtà indagata, all’aprirsi del secondo il ribaltamento prospettico è declinato secondo una soggettiva focalizzata su di un personaggio fino ad allora secondario. Solo le geometrie che popolano le pareti, traslate da una scena all’altra, rappresentano l’elemento persistente dinanzi alla totale metamorfosi della scena: scissi come atti unici eppure correlati in quanto declinazioni differenti del nodo di congiunzione fra realtà e finzione, le due parti mostrano di vivere di vita propria, si affermano come realtà autonome.
Proiettati nel salone di una parrucchiera, ci accingiamo ad ascoltare la storia di Sabrina, il contenuto della sua borsa, quello della sua esistenza: rivolta ad uno specchio cavo la donna mette in atto un soliloquio che ne mette in rilievo i nodi e le frustrazioni, le quotidiane sofferenze.
Procedendo sulla traiettoria di oggetti simbolici, resi dal racconto frammenti significanti di un’interiorità frammentata, Ornella si muove sul proscenio, quand’ecco che il climax raggiunge il suo apice, la narrazione si trova di colpo tramutata in dramma: avvolta da una nebulosa azzurra, la donna si ostina a guardare il cielo, ma l’impatto con la realtà provoca in lei uno schianto, una caduta.
Sebbene inizialmente interdetti di fronte all’irrisolutezza del primo atto e al lungo dispiegamento del secondo; ci rendiamo conto che è questa stessa struttura a suggerirci la reale intenzione dell’opera: un movimento che partendo dal generale si sofferma, spazia, indaga su una profondità che ci sembrava all’apparenza irrilevante.
Quattro interpreti (Elena Salvati, Alessandro Bevilacqua, Christian Galizia e Valentina Mauro) aderiscono ai loro caratteri che appaiono così stratificati nelle loro sfaccettature, nelle loro interazioni; una colonna sonora che si fonde con la scena, che a partire da “I will survive” contribuisce insieme ad essa alla creazione di senso.
di Laura Dotta Rosso
Lo spettacolo “Doppie punte” di Fabio Salvati con la regia di Daniela Coppola e Alessandro Bevilacqua, in scena dal 24 al 27 ottobre al Teatro San Genesio, racconta le diverse sfaccettature della vita.
Un salto nella realtà o forse nella realtà apparente che ci vogliono far vedere. Un colloquio di lavoro, molto semplice: domande e risposte. Un test: il Minnesota test, non possono esistere tentennamenti, tutto è calcolato, tutto è preciso, rigoroso, i profili delineati dalle risposte sono semplici da individuare..il responsabile aziendale è convinto della sua maestria nel gestire i colloqui di lavoro, perchè ci sono dei trucchi, degli obiettivi, perchè bisogna recitare una parte, perchè lui riesce a raccontare quello che vuole far credere… ma quando il candidato risponde diversamente come ci si comporta? La risposta “dipende” mette in crisi il recruiter che, messo alle strette, non ha più uno schema su cui basarsi. La candidata inizialmente terrorizzata e insicura, capisce i punti deboli e comprende che la realtà è davvero soggettiva e labile.
Il responsabile gioca la sua ultima carta: vuole vedere l’interno della borsa della candidata perchè è la scatola nera dell’anima, solo così potrà capire realmente la sua personalità, solo così riuscirà ad averla nuovamente in pugno.
Eccolo, trovato il punto debole della ragazza, un vibratore con cui farla nuovamente sentire a disagio,in difetto.
La candidata esce di scena, ma la borsa rimane lì, speranzosa che la sua reale padrona venga a riprenderla. La padrona torna, una donna di mezza età, è la candidata precedente e per l’uomo d’affari la realtà muta nuovamente.
Siamo dal parrucchiere.
Sopravviverò…sopravviverò a tutto: ai problemi familiari, all’infanzia difficile in mezzo a bambini maschi nelle case popolari, alla mia insicurezza estetica, all’avere cresciuto una figlia da sola, alle relazioni fallite, al non avere un lavoro, sopravviverò…ma dalla paura non ti salvi. La paura di sognare , la paura di non essere regolare, precisa, affidabile, un punto di riferimento per i tuoi figli, la paura di essere troppo cambiata in vent’anni o di non essere cambiata affatto. Ma chi , dopo vent’anni, è sempre uguale?. Continui a sognare e mentre dormi ti fai i conti. Sopravviverò anche questa volta…ma sarà più dura, perchè ora la realtà fa davvero male.
Gli interpreti di questa narrazione, Alessandro Bevilacqua, Elena Salvati, Christian Galizia e Valentina Mauro, riescono a mantenere il ritmo e, pur esprimendo concetti connaturati nell’uomo, non mancano i momenti di comicità e leggerezza. La scenografia del primo e secondo atto è essenziale, un tavolo, due sedie, uno specchio e una poltrona da parrucchiera, ma non ci se ne accorge perchè l’attenzione è focalizzata sul testo. Si ha però l’impressione che non si tratti di uno spettacolo unico, ma di due differenti rappresentazioni che hanno come unico filo conduttore la borsa e la sua verità. Il secondo atto risulta potente anche se perde di efficacia perchè risulta troppo lungo. Il finale è ben costruito, il gioco di luci aiuta ad unificare le emozioni della protagonista.
“Ho continuato a far finta tutta la vita” afferma la protagonista, voi non fatelo, affrontate la vostra realtà, perchè forse non saprete come sarete tra cinque anni, ma il modo di vivere di ora condizionerà il vostra destino. Non abbiate paura di non fingere!