Tutto sulla scena è esposto; è nel pieno di un training fisico-vocale a sipario aperto che cogliamo i giovani attori di “Dialoghi”, spettacolo inaugurale dell’Off Off Theatre di Roma che si è concluso ieri, domenica 20: solo grandi panche bianche sullo sfondo, nell’iterazione di vocalizzi e movimenti ripetuti quattro giovani si preparano ad andare in scena.
Si preannuncia come “manifesto”, lo spettacolo del giovanissimo Giovanni Franci, che con i suoi attori (Riccardo Pieretti, Gianmarco Bellumori, Fabio Vasco, Alberto Melone) promette di farsi difesa programmatica della libertà di pensiero: scavando nella classicità, si predispone a trarre da essa una linfa rivoluzionaria.
Suddivisa in capitoli tematici che pongono al centro la figura canuta di Socrate (interpretato da Paolo Graziosi), la pièce è articolata sulla narrazione a ritroso del suo processo: credibile solo nelle sue premesse, si rivela però zoppicante nell’atto di miscelare citazione e conversazione informale, sproloquio didascalico e parata pop.
Se un attimo prima stavamo ascoltando lo scambio di battute fra i quattro interpreti, poco dopo li vediamo danzare sulle note elettroniche dei Lali Puna: in un climax crescente di intensità e volume ecco che un giovane si spoglia, gli altri rompono la quarta parete ricercando un continuativo contatto con il corpo spettatoriale; dubitando forse sul reale verificarsi di una forma dialogica, ci chiediamo in cosa consista la grammatica della scena, quale sia lo svolgimento di fronte al mero alternarsi tra menzione letterale e show musicale.
Ed ecco, si dice che la finzione sia “l’unico modo per dire la verità”, che è solo il nostro ragionamento a rendere le cose “pie o empie”- laddove la premessa era buona, a non convincere è il suo svolgimento basato sul forzato il tentativo di creare un amalgama tra vecchio e nuovo, realizza un discorso che, di fatto monotematico, avrebbe potuto svilupparsi in modo più coeso.
Se le incoerenze dello spettacolo possono apparire giustificabili in nome di una regia giovane, ma piena di slanci dinamici; ciò che lascia titubanti è l’autodefinirsi dello spettacolo “elogio allo scandalo”: ammesso che questo rappresenti la presenza di un elemento perturbante, a distanza di giorni dalla visione difficile risulta intercettare le tracce di questa componente di novità.