Magari le intenzioni erano le migliori: sul modello di alcuni degli archetipi della narrativa shakespeariana, raccontare –per stigmatizzare- la violenza che percorre la contemporaneità. L’operazione impone un necessario aggiornamento narrativo all’interno della selezione operata nella produzione del grande Bardo: e dentro questi nostri sciagurati tempi non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Così il personaggio di Ofelia si aggiorna, diventando una figura se possibile ancora più fragile dell’originale, ma sempre disponibile a lasciarsi sedurre dal proprio istinto autosoppressivo, mentre il suo Amleto un politico pentastellato con più di qualche problema di nevrosi. Lady Macbeth una presentatrice televisiva, disponibile a qualsiasi nefandezza pur di affermare il proprio primato di visibilità, Re Lear un capo Rom, Jago un razzista privo di qualsiasi mediazione, Desdemona la sovrapposizione desolante di una riconoscibilissima influencer del momento, Otello un violento delinquente della periferia urbana di Roma. Tutti declinano le rispettive propensioni malsane all’interno di una non meglio precisata struttura di contenimento, davanti ai contrappunti di collegamento di un personaggio a cui è affidato il compito di vestire i panni classici del fool shakespeariano. Una certa atmosfera di marginalità e violenza percorre in maniera più o meno irredimibile l’allestimento.
Allora la domanda sorge spontanea: ma siamo sicuri che la realtà portata in scena in maniera diretta, senza la necessaria mediazione artistica, capace di attivare i meccanismi della catarsi o perlomeno della sublimazione, non agisca da riconoscibile modello comportamentale per spettatori meno attrezzati, che rimarrebbero insensibili davanti al pistolotto finale che raccomanda fraternità ?
A nessuno verrebbe in mente di definire il dipinto Guernica di Picasso un’esaltazione della guerra, perché quell’opera è il frutto della potenza alchemica di un artista capace di trasformare in un capolavoro di visionarietà un confuso sommario di resti di un bombardamento. Al Teatro Trastevere
scritto e diretto da Giovanni Maria Buzzatti e Manuela Tempesta