Ovunque brusio, s’avverte un clangore metallico, il sordo chiudersi di un portale.
L’uomo inizia a parlare come “sospeso in un cuscino d’aria”, la sua voce è onomatopea, sembra deformarsi nel contatto con elementi alieni.
E’ il Teatro India di Roma a farsi spazio, lo sorso 28 Agosto, per “Solaris” di S.Lem che, per la regia di Lisa Ferlazzo Natoli, si afferma come opera d’esordio nella rassegna IF/INVASIONI (dal) FUTURO.
Simulato sulla semantica di un suono che si fa corpo, si plasma uno spazio tanto a-fisico quanto visibile: vediamo portelli scuri, immagini vitree; ci troviamo in un “pianeta vivente”.
Se l’infiltrazione della memoria è forse causa prima e regolatrice in Solaris, il pianeta sembra rispondere a logiche altre: ruotando attorno a due soli, si instaura come habitat per mimoidi, simmetriadi, inverosimili strutture di plasma.
Dapprima, Chris Kelvin: solo l’angoscia invischiante guida il flusso dei suoi pensieri, spinge l’astronauta alla suggestione, alla paura, all’iperdescrizione di un territorio che sembra risucchiarlo.
Una distesa di metallo liquido, ove ogni voragine produce ultrasuoni, ogni brandello di schiuma sembra colorarsi di sangue.
Poi, altre presenze, nuovi simulacri: se la voce di Snaut si interroga sulle loro origini, di quella di Snaut si infiamma nel disperato tentativo di annichilirle: essi non sono corpi ma strumenti, involucri.
Ed ecco che Chris ritrova la moglie perduta: anche Harey è proiezione materializzata ma lo studioso, confuso quanto agonizzante, scopre di amarla.
Che l’oceano sia l’embrione di un dio invalido e disperato? Creature mastodontiche si muovono entro la nebbia di molecole, s’avverte la luce livida di un tramonto: è solo attraverso un “reading visionario”- quello di Vinicio Marchioni, Fortunato Leccese, Tania Garribba, Emiliano Masala e Diego Sepe che tale influsso allucinatorio giunge a coinvolgerci per poi assorbirci del tutto attraverso le musiche e live electronics di Gianluca Ruggeri e flauti e midi devices di Gianni Trovalusci.