Cerca

La recensione di NON RICORDO PIU’ TANTO BENE

Come metallo il suono rimbomba sulla scena spoglia; deambula spaesato l’uomo in pigiama. Antoine come? – la voce che lo interpella è lapidaria, sferzante l’interrogatorio: l’uomo non ricorda il suo cognome.

Questo l’incipit di “Non ricordo più tanto bene”,scritto e diretto dal drammaturgo anglo-francese Gérard Watkins, in scena al Teatro India di Roma fino al 30 Maggio.

La memoria è gelatina, magma labile che rimescola il vissuto, sovvertendone le coordinate: Antoine. D ha novantasei anni, ricorda solo una pesante vertigine, una strana fatica, un brusco risveglio in cui qualcuno esisteva al posto suo.

Lo spazio asettico assume le sembianze di un manicomio sperimentale; un letto, una scala, poi un ritmo serrato che sembra catapultarci entro in grottesco retroscena di uno show televisivo.

Se Didier Forbach è psichiatra veterano amante di Jarry Lewis, Céline Brest è l’assistente vitale e irruenta nel cui spirito immaginifico sembrano guizzare a tratti, immotivati lapilli di sadismo: un filo invisibile sembra percorrerli e congiungerli, qualcosa la cui entità ancora risiede nell’ombra.

“C’è un vento che attraversa il corpo, un respiro che attraversa il testo…” – forse impaurito, forse svogliato, il paziente non ha voglia di riappropriarsi di quel “sé” perduto; si abbandona a risonanze interiori, evocazioni tanto vivide quanto scisse inevitabilmente dal ricordo e dal tempo.

Esortato da metodi surreali, da voci squillanti, l’uomo rivela il suo paradosso: è storico, e quella storia lui la ricorda; è una storia che non sa di naftalina ma che lo aiuta ad essere il filo nel suo labirinto. E’ giusto il momento, l’apice, il metodo.

Costruita su un linguaggio incisivo e sferzante che trova nutrimento nella sapiente alternanza fra anafore e allitterazioni; la pièce assume l’andamento di un climax all’interno del quale abbiamo l’impressione di captare le fondamenta senza mai toccarle del tutto.

Avvincente, ipnotico, a tratti criptico; lo spettacolo trae la sua forza dall’equilibrio dei suoi interpreti che risultano complementari nell’organizzazione della struttura narrativa: un brillante Gianluigi Fogacci, una colorata Federica Rosellini, uno straordinario Carlo Valli che riduce a linea sottile la distanza fra attore e personaggio.

Un bambino, un risentimento, una quercia bicentenaria; in bilico sulla patina deformata dal racconto una realtà forse sempre saputa trabocca e sancisce la finale fusione tra i personaggi.

Teatro Roma
Marco Buzzi Maresca

Squallidi gli uomini, squallidi gli dei

Fantasmagorie psichiatriche sulle note di Euripide Interessante per alcune scelte registiche l’Oreste euripideo messo inscena da Dario Battaglia allo Spazio Diamante (Roma, 31.10-2.11.2025). Ma prima

Leggi Tutto »
error: Content is protected !!