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L’anno vecchio è finito, ma qualcosa ancora non va

Tra rituali di fine anno, illusioni di cambiamento e le parole di Lucio Dalla che continuano a interrogarci sul tempo che passa e su quello che resta da fare.

«L’anno vecchio è finito, ormai / ma qualcosa ancora qui non va».

Quando Lucio Dalla cantava questi versi, nel 1979, sembrava parlare di un tempo preciso, carico di tensioni e di passaggi storici. E invece, a distanza di decenni, quelle parole continuano a risuonare come un ritornello ostinato, un’eco che attraversa i calendari e si ripresenta puntuale ogni fine dicembre.

Ogni anno salutiamo quello che se ne va con la stessa liturgia: buoni propositi, bilanci frettolosi, promesse di cambiamento. Eppure, sotto la superficie scintillante dei brindisi, restano intatti i vecchi mali. Cambiano i nomi, i volti, le tecnologie, ma non il rumore di fondo: le chiacchiere inutili urlate alla luna, le indignazioni a tempo, le verità piegate alla convenienza del momento. È il paradosso gattopardesco del nostro tempo: tutto sembra muoversi, per restare esattamente com’è.

Il mondo corre veloce, ma spesso gira a vuoto. L’informazione sempre più disinformazione si moltiplica fino a diventare rumore, l’opinione sostituisce il pensiero, la reazione prende il posto della riflessione. Ci diciamo più consapevoli, più liberi, più connessi (anche troppo), mentre aumentano le distanze: tra le persone, tra le parole e i fatti, tra ciò che proclamiamo e ciò che siamo disposti davvero a cambiare. 

E allora il passaggio d’anno smette di essere solo una soglia temporale e diventa una domanda aperta: cosa significa davvero lasciarsi alle spalle l’anno vecchio? Non basta archiviare una data per archiviare le responsabilità. Non basta augurarsi “buon anno” se continuiamo a ripetere gli stessi gesti, gli stessi silenzi, le stesse scorciatoie morali.

Forse il senso di questo tempo sospeso sta proprio qui: riconoscere che qualcosa “non va” non come esercizio di pessimismo, ma come atto di onestà. Perché solo guardando in faccia ciò che resta irrisolto possiamo sperare di non trascinarlo, ancora una volta, dentro l’anno nuovo.

Che il prossimo non sia solo un cambio di numero sul calendario, ma l’inizio — fragile, imperfetto, ma necessario — di un passo diverso. Anche piccolo. Anche scomodo. Purché non sia l’ennesimo giro su noi stessi, mentre cantiamo che tutto è finito e fingiamo di non vedere ciò che, ostinatamente, resta. 

E allora, tra delusione e speranza, restano ancora le parole di Dalla a fare da chiosa e da promessa, come un filo sottile teso verso il futuro:

«L’anno che sta arrivando tra un anno passerà io mi sto preparando, è questa la novità».

Buon 2026 a tutti!

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