Dal jazz al cinema, da Manhattan a Venezia: un ritratto del maestro che continua a creare, suonare e sorprendere.
Sul mio caminetto, accanto alle foto con Adriano Celentano, Richard Burton e Marcello Mastroianni, spicca in una moderna cornice di vetro una grande foto in bianco e nero. La dedica recita: «Il denaro non dà la felicità, ma procura una sensazione così simile alla felicità che è un ottimo surrogato». Me la firmò Woody Allen sulla terrazza dell’Excelsior di Venezia, durante la presentazione alla Mostra del Cinema di Un colpo di fortuna e dei suoi ottant’anni. Domani 30 novembre, “graffiando il mondo”, ne compirà novanta.
Regista, sceneggiatore tagliente, attore, jazzista appassionato; più volte premio Oscar — finché ha avuto voglia di ritirarli — è stato amatissimo dalla critica e spesso ruvido con quell’America “idiota” che lui stesso dipingeva nei suoi film. Ancora oggi, nella sua New York, suona il lunedì sera con la sua Dixieland Band al Café Carlyle del Carlyle Hotel, dopo una vita passata al Michael’s Pub insieme alla New Orleans Funeral and Ragtime Orchestra.
La sua filmografia è un atlante sentimentale del cinema moderno: da Io e Annie a Manhattan, da Anna e le sue sorelle a Harry a pezzi, fino a Midnight in Paris e To Rome with Love. Oltre cinquanta titoli entrati nella memoria collettiva, tutti attraversati dalle sue irresistibili digressioni: il più simpatico — e tra i più colti — intellettuali ebrei della storia del cinema compie 90 anni e, dietro quei grandi occhiali da presbite e il solito sorriso enigmatico, non sembra avere alcuna intenzione di lasciare il suo personale valzer in pellicola. «La vita è bella perché c’è la musica — mi disse una volta — ma per il mio nuovo film non riesco a trovare produttori. Mi piacerebbe tornare a girare in Italia».
L’ultima volta a Venezia stava persino pensando di comprare casa. La città lo omaggiò con un prestigioso Leone d’oro alla carriera, poi esposto nella sua abitazione affacciata su Central Park, accanto agli Oscar e all’Orso d’oro di Berlino.
La critica mondiale, spesso con pareri divergenti, lo ha definito di tutto: dal re della commedia intelligente e surreale alla voce più anarchica del cinema contemporaneo, capace di colpire tutti — politica ed ebrei compresi. «Se di tanto in tanto non hai degli insuccessi — mi confidò sempre a Venezia — significa che non stai facendo nulla di innovativo».
In attesa dei produttori e del suo ritorno dietro la macchina da presa, Woody Allen ha pubblicato il suo primo romanzo, Che succede a Baum?, edito in Italia dalla Nave di Teseo: la storia di un giornalista ebreo nevrotico che diventa scrittore, raccontata con l’umorismo nevrotico e l’ansia ironica tipici di Allen. «Ma non sono io», ci tiene a precisare.
E così, mentre spegne novanta candeline, ci lascia con un’altra delle sue massime irresistibili: «Oggi, le parole più belle che uno possa sentire non sono più “Ti amo”, ma “Non si preoccupi, è benigno!”»
Auguri, maestro.




