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Quelli di via Veneto. La Dolce Vita romana

La Dolce Vita non è solo un famoso film felliniano, ma una rappresentazione di una certa Roma, di una certa Italia. Ebbene, alcuni dei protagonisti delle serate glamour anni Sessanta e Settanta hanno rievocato quegli anni in una serata esclusiva all’insegna di un bel mondo mai passato di moda.

18 novembre – Al Circolo Canottieri Roma, grazie all’impegno del Presidente Paolo Vitale e del Consigliere per le Manifestazioni e Attività Sociali Alberto Acciari, su iniziativa del Socio Pietro Delise, si è svolta una serata dedicata agli anni della dolce vita romana vista attraverso gli occhi di alcuni dei protagonisti, Ci vediamo a Via Veneto – feste, follie e personaggi che hanno creato la Dolce Vita. Accanto ai partecipanti due magnifici cartoni a dimensione naturale di proprietà del Centro Sperimentale di Cinematografia, raffiguranti Sofia Loren e Marcello Mastroianni.

Presenti, tra gli altri, l’attore Luc Merenda, il regista Sergio Martino, il giornalista Marino Collacciani i fotografi Gianni Bozzacchi, Umberto Pizzi e Marcellino Radogna, oltre al Re dei Paparazzi, come lo definì Fellini, Rino Barillari, nonché Marco Geppetti, figlio di Marcello, un altro famoso paparazzo, e cofondatore della Marcello Geppetti Media Company. E, ancora, Barbara Bouchet, Enrico Vanzina, Marcello Foti

Pietro Delise è senz’altro il primo a poter parlare della dolce vita romana. La sua gioventù è un lungo cammino sulle strade di quel mondo dorato mai del tutto scomparso, che ancora oggi rappresenta la Roma che molti sognano e che pochi hanno o hanno avuto.

Negli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo il cinema italiano assume lo stesso rilievo di quello del ventennio precedente, ventennio in cui era nato il Neorealismo, trascinante fenomeno artistico in grado di imporsi su scala mondiale.

Roma è una magnifica e invidiabile Hollywood sul Tevere. La sua fama è andata crescendo in modo esponenziale. Attori italiani e stranieri vi si danno appuntamento e circolano per le sue strade, soprattutto via Veneto, come Dèi scesi tra i mortali. Il cinema, del resto, crea miti e il cinema italiano di allora, quello romano in particolare, è da decenni in costante ascesa.

L’iniziativa che ha portato un cinema come quello italiano, già particolarmente raffinato, a raggiungere tanto fulgore nasce nel 1931 quando l’on. Giulio Pierantoni, presidente della Corporazione dello Spettacolo, affida ad una Commissione di esperti lo studio di fattibilità per una scuola di cinematografia, in cui spicca la relazione di Anton Giulio Bragaglia dal titolo Per una scuola ufficiale di cinema in Italia. In un’epoca di grandi corse verso primati scientifici, artistici, militari, dunque, prende il via una delle più prestigiose scuole di cinema, che del cinema ha fatto una filosofia, un modo di espressione a tutto tondo, la Scuola Nazionale di Cinema, poi Centro Sperimentale di Cinematografia di via Tuscolana, quella stessa via dove, tra il 29 gennaio 1936, giorno della posa della prima pietra, e il 28 aprile 1937, giorno dell’inaugurazione, nasce anche Cinecittà: un complesso originariamente composto da 73 edifici, tra cui 21 teatri di posa, ancora oggi all’avanguardia.

Roma è, dunque, la città del cinema. Lo è negli studi di via Tuscolana, ma anche in ogni suo angolo. Ed è proprio a Roma che Federico Fellini gira un film che farà storia, La Dolce Vita e che, come giustamente osservato da Enrico Vanzina, è un capolavoro assoluto, che ha riportato Roma ad un ruolo centrale e che andrebbe visto e rivisto per coglierne tutte le sfumature. E pensare che Fellini approcciò il cinema come disegnatore. Fu proprio Steno, il padre di Vanzina   – come quest’ultimo ha narrato –   ad averlo assunto.

Il titolo del film rievoca una commedia del 1912 firmata dal grande Fraka, Arnaldo Fraccaroli. Entrambe le opere ruotano attorno al conflitto tra otium e negotium per dirla alla latina, ma la similitudine si ferma qui. La pellicola di Fellini, accolta abbastanza calorosamente a Roma il 3 febbraio 1960, giorno della prima al Fiamma, viene altrove fischiata, addirittura maledetta dalla Chiesa perché troppo trasgressiva. Su L’Osservatore Romano diventa La schifosa vita. In realtà, dipinge un nuovo modus vivendi, trasgressivo e annoiato, edonistico ed egoistico, della generazione post-bellica, o, almeno, di una parte di essa, e, proprio per questo, si fa sogno. Un sogno per molti proibito, impossibile. Non dimentichiamo, infatti, che tra gli anni Sessanta e i Settanta nasce e muore il boom economico. Gli aiuti del Piano Marshall, sapientemente sfruttati dall’intelligenza imprenditoriale italiana, danno presto i loro frutti: le industrie rinascono, la ricchezza media cresce e le famiglie finalmente respirano aria di benessere. Poco dopo, però, iniziano ad affacciarsi anche instabilità politiche ed economiche di vasta portata: da lungi giungono gli echi drammatici delle rivolte antisovietiche già iniziate nel decennio precedente; arriva in casa nostra la strategia politica della violenza, iniziata il 30 giugno 1960 durante una manifestazione organizzata per impedire il Congresso Nazionale del MSI a Genova sotto il governo Tambroni; ed arriva il terrorismo mediorientale, che il 17 dicembre 1973 affonda le unghie anche sul popolo italiano nell’aeroporto di Fiumicino dove un commando palestinese uccide 32 persone.

Sulla vita quotidiana degli italiani arrivano soprattutto gli effetti della crisi petrolifera e, con essa, la cosiddetta austerity: termosifoni più bassi, luci razionate, le insegne spente a partire dalle 21, cinema, teatri, bar e ristoranti chiusi anzitempo, il blocco delle auto nei giorni festivi, poi trasformato in circolazione a targhe alterne. In strada resta acceso un lampione su tre   – in pratica come oggi, anche se oggi accade solo perché non funzionano -.  Persino il telegiornale anticipa l’edizione alle 20, orario che non muterà più, a memento, forse, di quella sorta di coprifuoco energetico. L’inflazione è alle stelle, le monete metalliche, non si sa perché, scarseggiano e si ricorre ai miniassegni; Raffaella Carrà e Mina aprono la prima puntata di Milleluci preoccupandosi di specificare che le luci sono mille solo virtualmente. Gigi Proietti rispolvera una vecchia canzone del 1933, Che cos’è questa crisi?.

Ebbene, in quegli anni, in quel tunnel di passaggio dal benessere alla crisi, la dolce vita va oltre la pellicola felliniana e diventa il sogno di molti raggiungibile da pochi, un sogno fatto di febbre di vivere, di piacere, di trasgressione, di lusso ad ogni costo e nonostante tutto.

Il Delise della dolce vita romana nasce barman al Piper Club nel 1965. E proprio lì, poco tempo dopo, quando aveva già smesso di fare il barman ed era solo un cliente, vede nascere una stella, una cantante che di quel locale ben presto diventa l’icona: lei lo avvicina sulla pista da ballo, escono insieme; a bordo della propria Fiat 500 Delise gira con lei una notte intera per Roma; il giorno dopo la presenta a Romano Morandi, il bassista dell’Equipe 84, ed è così che Nicoletta Strambelli diviene Patty Pravo.

Dopo il Piper Delise lavora tra Roma, Riccione, Cortina, Porto Cervo …Nella sua vita si affacciano i locali più in, tra i quali il Bobo, il Bobino, La Mecca, per giungere, poi, alla gestione di due dei più famosi locali romani: La Cabala, aperta nel 1972 insieme ad Alberigo Crocetta e Renzo Gallo, e il Jackie O’, inaugurato nel 1974 con Gil Cagné.

Tuttavia sono gli anni de La Cabala e del Jacky O’ a far fluire nella vita di Pietro il flusso incontrollato e incontrollabile del bel mondo. Un fiume in piena, tra personaggi famosi e paparazzi.

E, parlando di paparazzi, non si può non fare il nome di Rino Barillari. Con innata simpatia e occhi in grado di fotografare tutto e tutti anche senza fotocamera, in questa bella serata ha raccontato una piccola parte del suo mondo fatto di intraprendenza e pericolo pur di catturare la foto giusta, anche a rischio di essere aggredito, malmenato. Ha raccontato una sua storica scazzottata con Richard Burton a La Cabala. Ha confessato, con un pizzico di orgoglio, che in 60 anni di carriera è finito 164 volte all’ospedale. Erano anni in cui i divi si lasciavano andare anche ad eccessi. Famoso il pugno di Walter Chiari ad un altro illustre paparazzo dell’epoca, Tazio Secchiaroli. Del resto, come sottolineato da Barbara Bouchet, presente in un’elegantissima mise di velluto nero, i vip sapevano che in certi locali sarebbero stati “paparazzati” e, forse, ci andavano anche per questo.

Nella dolce vita romana i divi, gli industriali, le modelle, i playboy amavano nascondersi dietro occhialoni scuri e cappelli, ma, in fondo, speravano di essere riconosciuti, ammirati, osannati. Il paparazzo, termine tratto dalla pellicola felliniana, era la loro cassa di risonanza visiva, di notorietà, di fama, sebbene alcuni di quei fotografi siano andati ben oltre il glamour. Barillari, ad esempio, è stato anche un impavido testimone degli Anni di Piombo   – sua la foto di via Fani subito dopo il rapimento di Aldo Moro –   ed è tuttora un fotografo che, pur di documentare certe realtà, non teme nulla, nemmeno in nome della propria incolumità. E di realtà difficili non ne mancano mai, come non ne sono mancate neppure in quegli anni dorati.

La dolce vita, infatti, è stata affascinante, una magnifica luna riflessa sull’acqua della Fontana di Trevi che illumina Mastroianni e la Ekberg, ma, come la luna, ha avuto il suo lato oscuro. Oltre alla crisi economica, al terrorismo, oltre alla strategia politica della violenza, infatti, Roma è stata testimone anche di una criminalità comune in qualche modo legata direttamente al bel mondo. L’omicidio di Christa Wanninger, ad esempio, una giovane attrice in cerca di successo e protagonista della notte romana, che viene uccisa in via Emilia, una traversa di via Veneto, per mano di un pittore bohémien, infine condannato solo sulla carta, considerato il suo rilascio per incapacità di intendere e di volere. L’omicidio di Farouk Mohamed El Chourbagi, egiziano di nascita, svizzero di adozione, proveniente da una facoltosissima famiglia di industriali e viveur incallito della dolce vita romana, il cui corpo, sfigurato sul viso dal vetriolo, viene rinvenuto in via Lazio, anch’essa una traversa di via Veneto: un affare di gelosia e ripudi per cui nessuno pagherà veramente. O, ancora, il delitto Casati Stampa, avvenuto nella lussuosa dimora dell’omicida-suicida in via Puccini, sempre nei pressi di via Veneto. Il marchese Casati Stampa apprezzava vedere la giovane e bella moglie fare l’amore con un amante da lui stesso scelto, ma quando i due si innamorano e iniziano a vedersi in sua assenza, va su tutte le furie, li uccide e poi si spara. La figlia, sotto tutela dell’avv. Cesare Previti, dopo il delitto venderà la gigantesca dimora milanese, Arcore, a Silvio Berlusconi, allora solo un imprenditore in ascesa, e farà comprensibilmente uscire il suo nome dalle cronache mondane.

Ebbene, in questa Roma saggia e folle, in questo variegato mondo di denaro e di crisi, di bellezza e di orrore, di fama e di anonimato, Pietro Delise riuscì ad organizzare feste memorabili, splendenti, a riunire personaggi da prima pagina e lo fece con i mezzi limitati di un’epoca senza cellulari, senza social, senza comunicazioni estese; solo telefoni, incontri, strette di mano, amicizie, fiducia reciproca, professionalità.

Nel corso della serata Marcello Foti, Direttore Generale del Centro Sperimentale di Cinematografia, ha voluto sottolineare che certe rievocazioni non hanno a che fare solo con la nostalgia, ma con il futuro, con una progettualità che dovrebbe coinvolgere i giovani e riportare il cinema agli splendori di allora. E chissà che, con un cinema nuovamente in fermento artistico e culturale, non torni in auge anche una seconda dolce vita: di nuovo i grandi divi nei locali più chic, di nuovo la ricchezza e la bellezza a riempire la città nelle ore piccole e di nuovo quella dicotomia tra protagonisti e lettori del giorno dopo, perché la dolce vita esiste solo se non tutti possono permettersela, diciamocelo. Del resto, come direbbe la sottoscritta e come ha detto Don Felice, il prete degli artisti, convocato al Canottieri Roma con gli altri per ricordare i giorni d’oro di via Veneto, «Le cose belle succedono la notte, quando io dormo»!

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