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Ho perso Marseille: urgenza di libertà

Il teatro multilingue racconta le insidie di una pace apparente e il dramma della guerra eludendo confini ed etichette, aprendosi alla libertà del mare.

La libertà si conquista nell’osare, nello sperimentare. Ho perso Marseille è armonia della molteplicità, l’arte che accoglie la pluralità. Tre lingue per un solo racconto, che a sua volta ospita tre storie personali che si fanno carico della rappresentazione dell’intera umanità. Siamo al Vieux Port di Marsiglia il 2 aprile del 1939. È mattina presto e María Luisa cerca il suo gatto, distribuendo volantini, supplicando la gente di aiutarla. Le si avvicina un uomo con intenti poco comprensibili, sospetti. Anche lui ha dei volantini, ma della Révolution Politique. Sembra volere qualcosa da lei, convincerla delle proprie idee forse, ma María Luisa non vuole saperne.

Successivamente le si avvicina anche una donna, con un modo di fare più amichevole e rassicurante. Un’anarchica si definisce. Le offre il suo aiuto per ritrovare Marseille, ma anche di lei María Luisa inizia a nutrire sospetti. Cosa vogliono queste persone da lei? Perché le parlano così apertamente di argomenti delicati e politici? Tre vite intrappolate al porto di Marsiglia, dove gli unici spiragli di libertà sono guardare la distesa illimitata del mare e sentirne la libertà nelle vene, pensare al gironzolare senza confini e limitazioni di un gatto e provare a dire la propria su quello che non funziona in questo mondo, anche a costo di essere presi per pazzi o pericolosi.

Spagnolo, francese e italiano si fondono in un’unica partitura per raccontare solitudini e discriminazioni, ingiustizie e inganni. Speranze e illusioni si affacciano verso l’orizzonte, consapevoli che le loro fiamme sono fragili eppure necessarie in tempi di morte e terrore. 2 aprile 1939. Una data non casuale. Il giorno prima un annuncio di pace scuote la Spagna e con lei tutto il mondo: Francisco Franco proclama la fine della guerra e l’arrivo della pace. I tre anni di guerra civile spagnola si sono finalmente conclusi, eppure la nuova pace ha un sapore amaro, non convince i più attenti. Siamo all’avvento di una lunga dittatura e nonostante questo nello spettacolo non venga detto in modo chiaro se ne respira la paura e l’insensatezza.

Tre lingue, tre storie, tre attori: Altea Hernández, Sabrina Sacchelli, Flavio Marigliani. Altea Hernández è María Luisa, la protagonista che cerca il suo gatto e nasconde al mondo una storia di sofferenza e ingiustizia. La vediamo composta, chiusa in sé, dubbiosa e perplessa di fronte ad Antoine, il ragazzo che scambia per comunista. Sulla difensiva. Mostra orgoglio e capacità di fronteggiare sia lui che Elena, la giovane donna che le si avvicina successivamente. Teme entrambi, teme le loro verità, di cui è più consapevole di quanto all’inizio possa sembrare. Una donna intelligente e colta che offre squarci di realtà maturi che portano Elena a riflettere sulle proprie idee.

Elena, interpretata da Sabrina Sacchelli, ha un temperamento amichevole e rassicurante, ma anche lei nasconde nella sua freschezza e spontaneità traumi e paure. I suoi ideali verranno scossi dal dialogo con María Luisa, una nuova consapevolezza maturerà in lei. Grazia e dolcezza, mistero e apertura vivono nel corpo e nella voce di Sabrina e portano in campo, attraverso il racconto, eventi indelebili nel cuore del personaggio e significativi per chiunque sia sensibile a tematiche di sopraffazione e discriminazione, imposizione e violazione di diritti fondamentali. Come reagire alla rabbia? Quale strada percorrere? Il personaggio di Elena mette a fuoco queste domande e ne esplora silenziosamente le possibili risposte, invitando lo spettatore a riflettere con lei. Flavio Marigliani, oltre che regista, è Antoine: pedante e insistente, il cui modo di fare sicuro e sospetto fa sentire minacciata María Luisa. Si pone infatti in una modalità prevaricante e leggermente intimidatoria, saccente e manipolatoria, come se avesse uno scopo da assolvere, giusto o sbagliato che sia.

Ho perso Marseille è un thriller politico della memoria, dove si scoperchia il vaso dei ricordi e si rivivono momenti e impressioni, suggestioni e speranze, terrori e ferite. Nel presente si discorre, l’azione è nel passato e nel futuro. Tutto è incentrato sui tre attori, non ci sono scene né elementi che amplifichino le emozioni, tranne giusto l’illuminazione. Soltanto luci e parola. Essenzialità e rigore. Poesia e idee. La scomparsa di un gatto che simboleggia l’urgenza di libertà, oltre quei carceri chiamati confini, oltre quel demonio chiamato guerra, che transita di confine in confine, spostandosi e abbattendo ciò che trova.

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Ho perso Marseille – di Francesco Baj -Regia: Flavio Marigliani – Con: Altea Hernandez, Sabrina Sacchelli, Flavio Marigliani – Produzione Teatro Multilingue – Teatrosophia dal 13 al 16 novembre 2025


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