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Atomica: il collasso dell’umanità

La compagnia Muta Imago porta in scena l’orrore di un’umanità arenata, infestata dagli spettri di Hiroshima e raccontata dalla corrispondenza tra un filosofo e un uomo conscio della propria colpevolezza e per questo dichiarato pazzo.

Un cielo sereno, nuvole pacifiche. Un avvistamento, poi l’orrore. Il fantasma di Hiroshima infesta l’Occidente. Il Romaeuropa Festival porta in scena al Teatro India uno spettacolo doloroso, al contempo introspettivo e profondamente universale, dove l’esperienza individuale porta a una profonda riflessione sul futuro dell’umanità: Atomica, la storia della conversazione epistolare tra Claude Eatherly e Günther Anders.

Alessandro Berti

Claude Eatherly fu l’aviatore esperto in meteorologia che diede l’ok definitivo la mattina del 6 agosto 1945 per lo sgancio della bomba atomica su Hiroshima. Un semplice giro di ricognizione, una condanna per tutta la vita. Claude non riuscirà mai a liberarsi dall’opprimente indescrivibile senso di colpa per l’azione compiuta e cadrà in una spirale autodistruttiva terribile: furti, rapine, un tentativo di suicidio, l’abbandono della famiglia. Vivrà da colpevole ma nessuno lo riconoscerà tale, perché l’America non ammetterà la propria colpa e il profondo pentimento di Claude peserà come la lama del boia su quel desiderio di dimenticare e andare avanti.

Nell’estate del 1959 riceve una lettera firmata dal filosofo Günther Anders, l’unica persona al mondo che sembra capirlo, accettarne la colpevolezza e non etichettarlo come pazzo per il tentativo di far emergere la verità. La filosofia di Günther aveva come oggetto di indagine il rapporto tra l’uomo e la società da lui stesso creata, strutturata intorno alla funzionalità delle macchine e all’efficienza della tecnica. L’uomo avrebbe favorito una condizione tale da metterlo ai margini della propria stessa realtà, in quanto rispetto a una macchina sarà sempre “antiquato” e fallibile. Il futuro appare incerto, la distruzione totale vicina. Sarà forse una macchina azionata da un’altra macchina l’ultimo colpevole?

La compagnia Muta Imago, insieme agli attori Alessandro Berti e Gabriele Portoghese, con la magistrale e destabilizzante regia di Claudia Sorace porta in scena con devastante intensità questo scambio epistolare sulla fragilità umana e le responsabilità che l’uomo deve assumersi rispetto alla propria natura, in bilico tra creazione e distruzione. Un bombardamento visivo di luci accecanti, un passo di danza da discoteca e il tonfo di una caduta sono associati all’impatto della bomba atomica, un leitmotiv che si ripete più volte, perché il ricordo di quel trauma è marcato e indelebile. Luci e tessuto sonoro sono centrali in questo racconto della memoria, che esplora il senso di colpa ma ancora di più gli effetti della tecnologia e della società industriale sull’essere umano.

Claude stesso fu una vittima del sistema, incapace di prevedere la portata dell’azione a cui stava prendendo parte. L’umanità si conferma limitata rispetto alle conseguenze della proprie creazioni. Mary Shelley mise perfettamente a fuoco il problema già molto tempo fa, riagganciandosi al mito di Prometeo, riferimento mitologico chiave anche per Günther Anders. Nel mirino di Atomica l’ipocrisia della società dell’immagine e in particolare l’americanità e il suo tentativo di eludere colpe e conseguenze. La musica di Elvis Presley e il rimando alle sceneggiature hollywoodiane scardinano la patina perfetta del mondo statunitense ed entrano nelle viscere del problema umano e del collasso della nostra struttura sociale.

Un rimando significativo al cinema contemporaneo è da individuare nell’occhio di bue che accerchia Claude nel momento in cui la sua immaginazione lo porta a vedersi davanti a un grande pubblico che lo applaude. L’atmosfera, il tipo di situazione, le battute narcisiste e perfino la recitazione portano a rivedere nell’attore le tracce del Joker di Joaquin Phoenix. Le due storie non sono poi così agli antipodi come si può pensare: due uomini relegati nel ruolo di pazzi che il mondo non vuole ascoltare e che trovano sfogo e libertà nel potere immaginifico della propria fantasia e nei binari labirintici della mente.

Il ballo di Claude inoltre viene rappresentato con la stessa enfasi e carica di quello del personaggio del film di Todd Phillips e con movenze assimilabili allo stile sempre di Elvis Presley. Tuttavia è un movimento più meccanico e ripetitivo, quasi una stereotipia. Questo richiamo visivo alla guerra attraverso un movimento iconico della cultura americana potrebbe simboleggiare lo stato di euforia che investe i soldati, esposti al continuo lavaggio del cervello degli Stati Uniti e dell’esercito, e l’automatismo che li porta a provare adrenalina e una sensazione di grandezza quasi demiurgica nell’uccidere e sovrastare il nemico. A questa costante corporea segue sempre lo strapiombo di un’irruenta caduta in concomitanza con i getti di luce accecanti: la verità dei fatti è la disfatta di vincitori e vinti, la morte dell’umanità.

Alessandro Berti dà corpo alla disfunzionalità e inadeguatezza dell’individuo nella società moderna, oltre che alla vergogna e al senso di colpa perenne. Con il corpo comunica questa meccanicità sconclusionata, ma anche tutto il tormento e il pathos dell’essere umano che fa i conti con la propria coscienza. In un momento particolarmente significativo lo vediamo divincolarsi tra due forze opposte: in stile Arancia Meccanica tiene i propri occhi aperti con la forza, gesto che forse rappresenta la presa di coscienza, il vedere ciò che si è compiuto, la realtà cruenta delle cose, ma come movimenti involontari accenni di danza iniziano a interrompere l’azione fino a esplodere ancora una volta in una danza robotizzata dalla conseguente caduta.

C’è poi il tentativo di astrarsi, di evadere e rifugiarsi negli scenari hollywoodiani e nelle pose sceniche della recitazione. Un tentativo vano per chi ha una sensibilità maggiore di coloro che si schermano dietro la scusante di aver eseguito un ordine. Negli ingranaggi della società può risiedere il vero male perché questi rinunciano alla responsabilità delle proprie azioni. Claude tenta di ornare di epicità la propria storia ma invano. I demoni continuano a tormentare anche se si cerca di esorcizzarli fuggendo dalla crudezza del reale. Assolutamente efficace anche Gabriele Portoghese, un filosofo credibile che con cadenza rassicurante si avvicina a Claude e tesse le sue conclusioni senza mai abbandonarlo, ma anzi lasciandosi toccare dal suo dolore, sconvolgere non solo da Hiroshima ma anche dall’uomo che ne indossa la colpevolezza.

Alessandro Berti e Gabriele Portoghese

Il sonoro raggela, riportando voci e impressioni di alcuni abitanti di Hiroshima immediatamente prima e immediatamente dopo la caduta della bomba atomica. Voci che infestano, voci che non lasciano tregua. Un cielo sereno, un cielo notturno: la scenografia gioca su questa dualità. Il giorno inganna, sembra rassicurare e invece è in esso che si consuma la tragedia. Dita puntate verso l’aereo che sgancerà la bomba. La notte è luogo di incubi, ma anche avvicinamento al mistero imperscrutabile dell’universo e alla forza immaginifica umana.

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Atomica di Muta Imago – Liberamente ispirato al carteggio tra Günther Anders e Claude Eatherly – regia Claudia Sorace – drammaturgia e suono Riccardo Fazi – con Alessandro Berti, Gabriele Portoghese -collaborazione alla drammaturgia Gabriele Portoghese – consulenza letteraria Paolo Giordano
musiche originali Lorenzo Tomio – disegno scene Paola Villani – direzione tecnica e disegno luci Maria Elena Fusacchia – costumi Fiamma Benvignati – si ringrazia l’artista Elisabetta Benassi – per INDEX Valentina Bertolino, Francesco Di Stefano, Silvia Parlani – una produzione INDEX – in coproduzione con TPE – Teatro Piemonte Europa in collaborazione con Politecnico di Torino – Prometeo Tech Cultures; Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale – in collaborazione con AMAT e Comune di Pesaro – con il supporto di ATCL / Spazio Rossellini, MAB Maison des Artistes Bard, Viola Produzioni / Spazio Diamante – compagnia finanziata dal MiC – Ministero della Cultura – Teatro India dal 13 al 23 novembre 2025

ph. © Eleonora Mattozzi

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