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Finale (un'ouverture), della Familie Flöz

Finale (un’ouverture), della Familie Flöz

Al Teatro Bellini di Napoli il grande ritorno della compagnia berlinese ormai al suo 30° compleanno: in scena dal 15 al 19 ottobre in prima nazionale

Dopo essere stato presentato in prima assoluta al Berliner Ensemble per il 30° anniversario della Familie Flöz, Finale (un’ouverture) incanta anche il Teatro Bellini di Napoli. Fabian Baumgartner, Lei-Lei Bavoil, Vasko Damjanov, Almut Lustig e Mats Suthoff indossano con sapiente maestria le maschere caratteristiche della compagnia berlinese e, guidati dalla regia di Hajo Schuler, danno vita a una macchina teatrale perfetta. E come può quest’ultima funzionare senza il suo cuore pulsante, ovvero il pubblico? Infatti, è introdotta una piccola, eppure non scontata, novità: lo spettacolo non inizia con una platea di semplici spettatori, bensì con una attiva chiamata a salire sul palcoscenico per una prova di immedesimazione indossando quelle stesse maschere. Da qui, l’incanto.

Finale (un'ouverture), della Familie Flöz
Finale (un’ouverture), della Familie Flöz

Come nasce una storia? Da dove si parte per raccontarla? Come può un qualcosa di effettivamente inanimato come una semplice maschera creare potenziali e infinite storie? Qual è il senso profondo del momento teatrale quando ciò avviene, nel segno di quel legame indissolubile tra attore-spettatore? Chi siamo dietro a quelle immagini fisse? Questi sono gli interrogativi che la Familie Flöz si pone per costruire un terreno fertile sul quale creare il suo nuovo spettacolo, Finale (un’ouverture). E – sia per ringraziare il pubblico, che da ben trent’anni accompagna il gruppo berlinese nei suoi viaggi teatrali, sia forse anche per un’esigenza inconscia e necessaria per una compagnia con tanti anni di lavoro di rendere chiari certi punti cardine – non manca di iniziare tale ricerca ponendo al centro della pièce proprio lo spettatore.

In Finale (un’ouverture), il momento teatrale non è ridotto esclusivamente alla tipica narrazione di storie quotidiane alla Familie Flöz, ma ha un cuore che pulsa più nel profondo in sincrono con quello della platea. Perciò, prima ancora che lo spettacolo inizi nella maniera classica e più riconosciuta, in realtà ha inizio già da prima nel momento in cui a sipario aperto gli attori attraversano il palcoscenico, lo vivono come un ventre materno, invitando chi vuole a salirvi per indossare le maschere, per vivere quella forza originaria ancestrale da cui poi si dipana un eventuale copione. È in questa interattività il punto nevralgico, nonché tutto sommato ciò che rende diversa la pièce da quelle precedenti della compagnia: un’apertura vera e profonda nel segno della quale il teatro dimostra il proprio potere catartico, ovvero quella capacità di mettersi in collegamento con un alter (la maschera) per un riconoscimento profondo e autentico.

La maschera è un elemento che sicuramente non passa inosservato, sulla quale la Familie Flöz ha fondato il proprio modo di fare teatro. In Finale (un’ouverture) è in un certo senso svelata, non tanto per essere messa in discussione quanto per essere compresa in un’intimità complessa che le appartiene. Ancor meglio si potrebbe dire che le viene concessa la possibilità di adoperare quella sua funzione rivelatrice. Sembra un paradosso, dal momento che si ritiene la maschera un qualcosa che nasconde, che dà un’immobilità già riconosciuta; in realtà, è attraverso questa fissità occultatrice che crea delle forme con molteplici visioni universali. L’atto materiale di nascondere è un ricongiungimento con un alter neutro, uno stadio larvale da cui potere ricercare l’infinito. Allora, quei volti espressivi di cartapesta silenziano l’esigenza ossessiva di un volto, di un’identità definita, mentre al loro interno i corpi si muovono liberi di essere qualsiasi individuo e qualunque cosa.

Finale (un'ouverture), della Familie Flöz
Finale (un’ouverture), della Familie Flöz

All’interno della maschera, il corpo è vergine, è un campo spoglio sul quale si può edificare qualsiasi identità si voglia. Per esempio, in Finale (un’ouverture) il corpo dietro la maschera diventa un negoziante che sacrifica tutto per la sua attività; poi, diventa un figlio in cerca di sé durante la malattia della madre; ancora, diventa una donna che a poco a poco scopre i segreti reconditi della natura. E anche questa suddivisione in personaggi non è mai concretamente netta: donna-uomo, individuo-animale, realtà-sogno, è tutto il rovescio di sé. Allora, è un contatto sottile e persistente con un’alterità disponibile e audace ed è questo che permette il ritrovarsi in una dimensione comunitaria, lidentificarsi nella varietà di forme del momento catartico, il riconoscersi in un’intimità abissale. Qui la potenza del teatro della Familie Flöz, con il suo stile di un’immancabile giocosità anche un po’ favolistica, che si traduce in un teatro universale, veramente fruibile, accessibile.

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Finale (un’ouverture) – della Familie Flöz: Fabian Baumgarten, Lei-Lei Bavoil, Vasko Damjanov, Anna Kistel, Almut Lustig, Hajo Schüler, Mats Süthoff – con Fabian Baumgartner, Lei-Lei Bavoil, Vasko Damjanov, Almut Lustig, Mats Suthoff – regia di Hajo Schuler – co-regia di Anna Kistel – assistente regia Jelle De Wit – scenografia e costumi Stephane Laimé / Mascha Schubert – luci Reinhard Hubert
musiche originali Vasko Damjanov, Anna Lustig & Ensemble – sound design Giorgio De Santis – design – illusioni Rocco Manfredi – sartoria Marion Czyzykowski – direttore di produzione Peter Brix – contabilità William Winter – logistica Mattia Charchedi – booking Gianni Bettucci – una produzione di FAMILIE FLÖZ – in coproduzione con Theaterhaus Stuttgart, Theater Duisburg, Stadttheater Schaffhausen – prima mondiale: 9. Oktober 2025, Berliner Ensamble – con il contributo di Hauptstadtkulturfondsi – Teatro Bellini di Napoli – dal 15 al 19 ottobrePrima nazionale

Fonte immagini: Ufficio Stampa

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