Tra segreti di corte, ambizioni e sguardi sul futuro, la prima nazionale a Teatrosophia celebra una performance magnetica e un progetto teatrale che intreccia storia e mito
C’è un momento, nello spettacolo L’Imperatrice, in cui il tempo sembra piegarsi su se stesso: una giornalista di oggi si trova di fronte alla Contessa di Castiglione, donna dell’Ottocento e leggenda vivente di seduzione, politica e ambizione. Da questo incontro impossibile nasce la nuova creazione di Andrea Balzola e Beatrice Schiaffino, secondo capitolo del progetto Free Women Suite, andato in scena in prima nazionale al Teatrosophia lo scorso 16 ottobre.

Dopo La Papessa, Balzola e Schiaffino tornano a esplorare le figure femminili ribelli della Storia, legate agli Arcani Maggiori dei Tarocchi: questa volta, la carta evocata è quella dell’Imperatrice, simbolo di potere creativo, sensualità e libertà.
La scena si apre come un set mentale, dove la parola e la memoria si rincorrono. La Contessa – interpretata da una Beatrice Schiaffino intensa e calibrata, capace di passare con naturalezza dall’orgoglio alla fragilità – si lascia interrogare da una voce del presente, che rappresenta lo sguardo contemporaneo sul mito. Attraverso il dialogo immaginario, si disvela la parabola di Virginia Oldoini, donna straordinaria e controversa, cugina di Camillo Benso di Cavour, inviata a Parigi con un compito tanto politico quanto personale: conquistare il cuore di Napoleone III per favorire la causa dell’Unità d’Italia.
Balzola e Schiaffino restituiscono questa vicenda con un linguaggio teatrale che unisce drammaturgia e riflessione, evitando ogni tentazione didascalica. L’intervista impossibile diventa così un pretesto per interrogare il rapporto tra potere e femminilità, tra immagine pubblica e verità interiore. Virginia, “l’Imperatrice mancata”, appare come una figura sospesa tra sogno e disincanto: strumento della diplomazia sabauda, ma anche artefice di sé stessa, la Contessa costruisce la propria leggenda con un’intuizione quasi moderna, quella di promuovere la propria immagine in un’epoca che relegava le donne al silenzio.
Il racconto si arricchisce delle voci fuori campo di Ruben Rigillo, Carmen Di Marzo e Paolo Masera, che interpretano i diversi personaggi storici che attraversano la vita di Virginia: Cavour, Napoleone, la madre, gli uomini e le donne che ne hanno segnato il destino. Le loro presenze sonore creano un contrappunto efficace, dando profondità e ritmo alla narrazione, quasi come un coro di memorie che riaffiorano dal tempo.
Sul piano visivo, la scenografia si avvale di una proiezione di immagini sul fondo del palco, che evocano luoghi e suggestioni dell’Ottocento, che diventano specchi dell’anima. Tuttavia, la poca luminosità della proiezione, pur pensata per non distogliere l’attenzione del pubblico dall’attrice principale, penalizza in parte l’efficacia visiva, attenuando la potenza evocativa delle immagini.
Anche la scelta registica di collocare, da un lato del palco l’intervistata davanti ad un moderno fondale retrostante, pur interessante sul piano concettuale – quasi a riportare in un immaginario presente l’intervista, in un dialogo tra passato e presente – finisce per creare un marcato contrato visivo con l’ambientazione ottocentesca dell’altro lato del palco: il tavolo, gli oggetti, i drappeggi della camera personale della Contessa, curati con gusto e precisione storica.
La messinscena alterna momenti di confessione intima e rievocazione storica. Sullo sfondo, la Parigi del Secondo Impero rivive come un miraggio: salotti, intrighi, sguardi che giudicano e desiderano. Napoleone III, pur assente fisicamente, domina l’immaginario come simbolo di un potere maschile distante e crudele. La Contessa, che aveva creduto di poter ascendere fino all’altare imperiale, si ritrova a fare i conti con la realtà: l’Imperatore sposa un’altra donna, e Virginia scopre quanto effimera possa essere la gloria quando non è accompagnata dal riconoscimento dell’amore.
In questo contrasto tra ambizione e disillusione si gioca la forza dello spettacolo. La scrittura di Balzola, precisa e poetica, restituisce la complessità di una donna che fu insieme vittima e regista della propria storia. La regia sceglie un tono sobrio, quasi da confessione in chiaroscuro, dove la parola diventa corpo e la scena si trasforma in specchio. È un teatro di evocazione più che di rappresentazione, dove la figura della Contessa si staglia come archetipo della donna che tenta di affermarsi in un mondo costruito dagli uomini.
Nel percorso simbolico di Free Women Suite, L’Imperatrice è una tappa dedicata alla rinascita del potere femminile. La carta dei Tarocchi a cui si ispira rappresenta la donna che genera, che crea e che domina con la forza della propria presenza. Ma la Contessa di Castiglione, nella lettura di Schiaffino, è anche una creatura ferita: la bellezza e il potere che la circondano sono armi a doppio taglio, e dietro l’apparente sicurezza si nasconde la fragilità di chi ha osato troppo.
Beatrice Schiaffino incarna tutto questo con un’interpretazione che unisce misura e profondità, sostenuta da una presenza scenica magnetica. Dopo il successo ne L’anatra all’arancia accanto a Emilio Solfrizzi e Carlotta Natoli, l’attrice torna a un teatro più intimo e di ricerca, mettendo in gioco sensibilità e rigore. L’efficacia del progetto sta proprio in questa dimensione sospesa tra realtà e simbolo, storia e visione: il racconto di una donna reale che diventa, al tempo stesso, figura dell’inconscio collettivo.
Alla fine, la Contessa di Castiglione resta un enigma. Dietro i suoi ritratti, dietro i diari e le lettere sopravvissute alla censura ed alla distruzione – ritrovate solo intorno al 1950 ben 50 anni dopo la scomparsa di Virginia Oldoini – continua a pulsare la domanda che attraversa tutto lo spettacolo: quanto potere può avere una donna che decide di incarnare il proprio mito? L’Imperatrice non offre risposte, ma invita a guardare la Storia con occhi nuovi, riconoscendo in Virginia Oldoini una pioniera della modernità, una donna che, nel secolo delle corti e dei re, aveva già intuito il potere dell’immagine e dell’autodeterminazione.
In scena, quel potere torna a brillare, fragile e irresistibile, come un riflesso nello specchio di una camera fotografica: il ritratto di una donna che, pur sconfitta, non smise mai di regnare.

In sala presenti ospiti illustri del mondo del teatro, come Ruben Rigillo, Carmen Di Marzo (le voci off impiegate nello spettacolo) e Carlotta Natoli. Un pubblico, entusiasta, ha tributato lunghi e ripetuti applausi a questa prima rappresentazione, accogliendo con calore il ritorno di un progetto che coniuga teatro di ricerca e sensibilità contemporanea.
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L’imperatrice – di Andrea Balzola, con Beatrice Schiaffino, regia Andrea Balzola e Beatrice Schiaffino, voice off Ruben Rigillo, Carmen Di Marzo e Paolo Masera, musiche Gerado De Pasquale, Teatrosophia Roma 16 ottobre 2025
Foto ©Grazia Menna





