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Dal circo alla memoria: con “Spaghetti” la Compagnia Materiaviva racconta l’emigrazione italiana

Otto artisti, una nave, un piatto di pasta: la storia del nostro Paese rivive tra acrobazie e musica al Teatro Furio Camillo.

Roma, Teatro Furio Camillo, 12 ottobre 2025. Nella penombra dorata di una scena fatta di valigie, corde e luci color carta da pacchi, la Compagnia Materiaviva riporta a galla una memoria collettiva che sa di mare, di nostalgia e di farina. Spaghetti , per la regia di Roberta Castelluzzo, non è soltanto uno spettacolo di teatro-circo: è un rito di evocazione, un racconto sospeso tra acrobazia e storia, tra leggerezza e dolore. È la storia di un popolo in viaggio, quello italiano dalla fine agli inizi ‘900 e oltre, che parte con il poco che ha – valigie di cartone e sogni avvolti in un fazzoletto – e attraversa l’oceano inseguendo un futuro incerto.

Spaghetti – Compagnia Materiaviva

La drammaturgia si innesta su una metafora semplice e geniale: gli spaghetti, simbolo di identità e appartenenza, diventano il filo che unisce generazioni, regioni, destini. Quel gesto quotidiano di cuocere la pasta, anche nella pancia di un transatlantico, si trasforma in un atto di resistenza culturale, in un modo per restare umani dentro l’anonimato del viaggio. È la tavola a ricreare la casa che si è perduta, il calore che manca, la speranza che resiste.

Sul palco otto interpreti – artisti completi, capaci di coniugare tecnica circense e sensibilità teatrale – incarnano le molte voci di un’Italia in partenza. Ognuno porta con sé una diversa provenienza, una diversa cadenza, come a ricordare che l’emigrazione attraversò tutto il Paese, senza distinzione tra Nord e Sud. La coralità è il vero cuore dello spettacolo: corpi che si intrecciano, si sostengono, si sollevano, si abbandonano al vuoto come in un mare in tempesta. Il palo cinese diventa l’albero maestro di una nave, il cerchio aereo il simbolo di un destino che gira su se stesso, il trapezio la speranza di un volo che non sempre riesce.

Le acrobazie non sono mai mero esercizio di virtuosismo, ma linguaggio narrativo. Ogni salto, ogni equilibrio sospeso racconta un’emozione: la paura, l’euforia, la nostalgia, la fame. I numeri circensi si intrecciano con momenti di teatro fisico e brevi monologhi che restituiscono frammenti di storie vere, di partenze improvvise, di ricongiungimenti mancati, di promesse lasciate in mare.
Tornano alla mente i versi di una canzone di Francesco De Gregori, Titanic,  : « Per noi ragazzi di terza classe che per non morire si va in America», un verso che sembra scritto per queste scene, per quelle stive affollate dove l’umanità si mescola e resiste, tra valigie accatastate e sogni impastati di sale. Non tutti, come si ricorda nella pièce, arrivarono a destinazione; non tutti vissero la vita sognata. Ma è proprio in questo scarto tra sogno e realtà che Spaghetti trova la sua verità più profonda.

La musica accompagna e guida la narrazione, con un impianto sonoro che mescola echi di fisarmoniche, rumori di onde e battiti di cuore. È una colonna sonora che sembra emergere dalle viscere della nave, a volte giocosa, a volte struggente. A fare da contrappunto visivo, la scenografia –  firmata con cura artigianale – trasforma il palco del Furio Camillo in una terza classe di inizio Novecento: materassi, ceste, pacchi legati con lo spago, lampade giallo paglierino che avvolgono tutto in una luce di memoria. Lo spettatore si ritrova immerso in quella precarietà, circondato dal respiro dei viaggiatori, quasi a condividere con loro il rollio della traversata.

Particolarmente riuscita la regia collettiva, che dosa con sapienza i tempi emotivi, alternando momenti di intensità drammatica a brevi squarci di ironia. Gli spaghetti del titolo, portati in scena con grazia e ironia, diventano un simbolo identitario ma anche un gesto teatrale che unisce pubblico e attori in una comunione domestica e universale. In un’epoca in cui i fenomeni migratori continuano a segnare la cronaca, Spaghetti riesce a parlare al presente senza retorica, con la delicatezza dell’immagine e la forza del corpo.

Il pubblico del Furio Camillo — sala gremita, con numerosi bambini e adolescenti — ha accolto con calore lo spettacolo, riconoscendovi forse un pezzo di storia familiare. È uno dei grandi meriti di Materiaviva: portare il circo contemporaneo oltre il puro intrattenimento, trasformandolo in strumento di memoria, di empatia, di educazione civica. I più piccoli hanno scoperto che il circo non è soltanto quello con gli animali, ma una forma poetica che parla di noi, delle nostre radici, dei nostri antenati viaggiatori. E forse domani sapranno guardare con maggiore comprensione chi, oggi, attraversa altri mari, con altre valigie, ma la stessa speranza negli occhi.

Spaghetti – Compagnia Materiaviva

Spaghetti si rivela quindi  un viaggio dentro la nostra identità: un teatro di corpi e di gesti, di pasta e di sale, dove la malinconia si intreccia con la leggerezza. È un piccolo miracolo scenico che unisce la grazia del circo alla profondità del teatro di narrazione, senza perdere mai la semplicità e l’immediatezza del linguaggio universale del movimento. Alla fine resta negli occhi l’immagine di un gruppo di migranti che, intorno a un piatto di spaghetti, ritrovano un senso di casa nel bel mezzo dell’oceano.
E resta nel cuore la consapevolezza che, in fondo, siamo tutti viaggiatori,  sospesi tra ciò che siamo e ciò che sogniamo di diventare.

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Spaghetti – spettacolo di teatro-circo, regia Roberta Castelluzzo, con Alessandra Lanciotti, Alice Foglia, Biagia Elisabetta Perrucci, Fiamma di Giamberardino, Francesca Gavaruzzi, Aurora Tiberi, Leonardo Varriale, Linda Arduini, Lisa di Cerruti, Luciano Capasso, Maria Bianca Muneghina, Marta Farace, Teresa del Vecchio, Rossella Caruso, Silvana Zaccardi, Sofia Canzona, Sofia Zaninotto, Vasili Zafiropoulos, Viola Alessandrini, Virdiana Tiberi, aiuto regia Lucia Rizzo, fonica e luci Giovanni Modonesi, costumi Nide Russo, Teatro Furio Camillo Roma 12 ottobre 2025

Foto ©Grazia Menna

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