Cerca

Di cronache di sangue e catrame rimangono le ceneri

Uomini nel vicolo cieco di crimini e scelleratezze e Donne che si perpetuano al Cutelli-Salanitro di Catania.

Ci troviamo nel prosieguo teatrale di una delle tappe scolastiche più edificanti del Fringe Catania Off 2025 ed è ancora una volta preziosa la sostanza tematica tramandata agli allievi liceali, a cominciare dal brano musicale che viene propagato all’apertura e alla fine dello spettacolo. Si intitola Ghosts e il cantautore lo conosciamo tutti: il leggendario Michael Jackson. La sua potenza è tale che ci impone un piccolo utilizzo. Ci sono dei segni sul muro, del sangue che fluttua per le scale, dei passi rumorosi sul pavimento e degli scricchiolii provenire da una porta. I versi presi in prestito e decontestualizzati conducono facilmente ad uno scenario dell’orrore, non quello fittizio e cinematografico, a cui vorremmo poter dire di fare riferimento, ma quello della dolente materia di cronaca che popola giornalmente le nostre notizie: i femminicidi. Dunque, gli stilemi dello spettacolo sono sempre quelli di un teatro-messaggero, veicolo di storie e verità, che rifiuta integralmente i tratti di uno scontato passatempo.

Più specificamente, si tratta di una rappresentazione fra le più recenti di un gruppo consolidatosi nel 1992: la Compagnia Fabbricateatro, una sorta di officina rivoluzionaria, a metà fra i classicismi e le esplorazioni avanguardiste, che ha fatto dell’innovazione un perno da introiettare nella “fabbricazione” di spettacoli che avessero qualcosa di diverso rispetto al tradizionalismo a cui siamo abituati. Proprio in questo asse di rinnovamento si colloca anche quello allestito per gli studenti lo scorso 6 ottobre: I miei amabili resti, esito di una rielaborazione a partire dal testo romanzato di Alice Sebold, tradotto in regia da Elio Gimbo e con un cast di tre sole attrici: Sabrina Tellico (a cui va anche il merito del lavoro adattivo), Barbara Cracchiolo e Simona Gualtieri.

L’opera contemporanea, di cui discutiamo, si snoda in un disegno coreografico puntellato dall’inizio alla fine da elementi narrativi, a loro volta scanditi, si è detto, da un repertorio musicale per buona parte siglato Michael Jackson. Le sequenze corporee e gestuali, accompagnate alla danza, si alternano e insieme si fondono con frammenti di monologhi e dialoghi, preservando, nel succedersi dei linguaggi che convivono sul palcoscenico, una manifesta espressività. Nessun artificio scenografico, ad eccezione di un paio di arnesi, recanti una simbologia, posti dentro una scatola ed estratti all’occorrenza. Una scatola che, di tanto in tanto, viene trascinata da una sedia verso il pavimento, e viceversa. La chiameremo “scatola magica” e tuttavia non sarà un gioco di magia a far perdere le tracce di Speranza, la giovanissima protagonista finita nella tana del lupo. Il lupo inghiottirà la sua preda nel bosco e la trascinerà in un rifugio da lui stesso accuratamente costruito. Ma questa che vi raccontiamo non è una fiaba e il lupo è il suo vicino di casa, di quelli un po’ stravaganti e particolari. Un adulto. Un assassino. Un ripugnante assassino. Uno come tanti, uno come gli “insospettabili” altri. Come Massimo Bossetti, Alessandro Impagnatiello e Filippo Turetta.

Come tutti gli omuncoli la cui indole narcisista, la peggiore e la più misera delle categorie, li ha defraudati di qualsiasi forma di umanità, rendendoli degli “ego” ambulanti e ad affliggerli soltanto un’insidiosa burrasca di odio e frustrazione da scaricare fra colpi di arma da fuoco e coltellate, tante quante ne servono per infrangere tutto: progetti, sogni e passioni femminili, una vita da “abitare” e la brama di non morire. E invece muoiono, diventano scheletri: corpi in disfacimento divorati dalla crudele ombra del loro livore omicida.

L’ombra di individui “individualisti”, astiosi implacabili, anestetizzati dal circuito vizioso del male, prodigi dell’accanimento e manipolatori strateghi del controllo, dalla perfidia più spietata. Ed è spietata la volontà di nuocere al prossimo ad ogni costo. Del resto, non possiamo aspettarci niente di meglio da questi volti dell’ambivalenza che trasformano la donna da trofeo da esporre, prima, a sacco nero da gettare nell’immondizia, poi. Fra questi, il vicino di casa gradasso e insolente è “l’esemplare” più comune e a ricordarcelo è Speranza, la donna-bambina inquinata nel suo candore dai sudici tentacoli, limacciosi artigli di quell’essere peccaminoso e viscoso, dalla morbosità tossica e asfissiante che si aggirava per la “selva oscura”. Il belvedere di un paesaggio innevato diventa esso stesso un indistinto e distorto mucchio di sterpaglie nemiche e aliene, ambigue e sfuggenti, e accanto la casa e la cameretta a cui Speranza non farà mai più ritorno. Circuita nella sua ingenuità e poi uccisa, non ha fatto in tempo ad opporsi: l’infido e gelido vicino, “lupo” della perversione, ha già deciso per lei e l’interno di quella botola, regno della depravazione, diventa, in una corta giornata invernale, la tomba di Speranza.

Dietro l’aura fiduciosa e ottimista di un nome, Speranza, si nasconde la sciagura, la stessa che aveva colpito Yara Gambirasio, Giulia Tramontano (con la sua creatura in grembo) e Giulia Cecchettin. E tante, tantissime altre donne, in un amareggiante moltiplicarsi, probabilmente destinato a non arrestarsi mai. Le loro anime di cadaveri martoriati e occultati rivivono e aleggiano eterne sul palcoscenico, le loro orme lo solcano nel filo rosso di una sciagura non voluta. E Speranza che si fa da portavoce. Portavoce di morti annunciate e pericoli sottovalutati, adescamenti e raggiri, strattonamenti e aggressioni e inganni e premeditazione da parte di chi sa solo professarsi innocente. Portavoce di donne perseguitate e abusate, immobilizzate e strangolate dal soffocante cappio della violenza, della derisione, del possesso e della gelosia. Donne di libertà rubata, neri lividi e cicatrici della molestia subita, ferite indelebili che sul corpo rimangono visibili e nell’anima hanno imparato a nascondersi, donne al limite del dolore e della sopportazione e una corazza da indossare, costrette a mimetizzare: la rassegnazione. Rassegnazione e poi sgomento, il nostro, innanzi ad un mondo in costante peggioramento. E se quaggiù la deriva è in corso, lassù possiamo ancora contare sugli angeli e le costellazioni ed è l’unico altrove rimasto dove esiste Speranza.

_____________________


I miei amabili resti – Tratto da “Amabili resti” di Alice Sebold – Libero adattamento di Sabrina Tellico – Regia di Elio Gimbo – Con: Barbara Cracchiolo, Simona Gualtieri e Sabrina Tellico – Foto di scena e Produzione Fabbricateatro – Fringe Catania Off International Festival – Lunedì 6 ottobre 2025 – Liceo Ginnasio Statale “Mario Cutelli e Carmelo Salanitro”

error: Content is protected !!