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Reagite! Il grido di Lenny Bruce portato in scena da Antonello Avallone. 

Dal night di New York al palcoscenico romano con l’eredità scomoda di Lenny Bruce

di Elisa Fantinel

In occasione della nuova stagione teatrale 2025/2026 ho incontrato Antonello Avallone, regista e attore affermato con una lunga e brillante carriera alle spalle. Con lui ho parlato del suo ritorno in scena con uno spettacolo che solletica la nostra curiosità e che non vediamo l’ora di vedere al debutto nazionale, mercoledì 8 e giovedì 9 ottobre al Teatro Ghione di RomaLenny. Ipotesi di un omicidio, testo di Giuseppe Pavia, che porta sul palco la storia del celebre comico statunitense Lenny Bruce.

Perché il personaggio Lenny Bruce ti ha ispirato a tal punto da volerne fare uno spettacolo?

È una storia particolare quella di Lenny Bruce: un attore che fu denominato da qualcuno “la coscienza d’America”. Lenny parlava al popolo nei suoi locali, denunciando la repressione della parola nel suo paese. Lenny difendeva la libertà e non solo di parola: Bruce si batteva per la libertà sessuale, era favorevole alla liberalizzazione della droga, nei suoi monologhi Lenny parlava delle follie del razzismo, dell’antisemitismo. Tutti temi purtroppo ancora estremamente attuali e proporre la storia di Lenny Bruce oggi, vuole farci riflettere sul fatto che nulla è cambiato da allora.  Lenny cercava di cambiare l’America e per questo è stato anche più volte arrestato, ha rinunciato anche all’amore per questo suo ideale. Lo trovo un personaggio davvero affascinante. 

Di nuovo gli Stati Uniti a fare da sfondo in un tuo spettacolo, cos’è che ti affascina tanto di questi luoghi?

Il cinema soprattutto. Sono cresciuto con i film americani e li amo da sempre. Credo che il periodo più florido per il cinema americano è stato quello tra gli anni ’50 e gli anni ’90, è quello che mi affascina di più. Inoltre a teatro ho sempre cercato di proporre ciò che gli altri non facevano e quindi ecco perché spesso, soprattutto negli ultimi anni, ho portato molti testi di Woody Allen che sono nati come piéce teatrali e poi in alcuni casi sono diventati anche dei film. 

Possiamo definire Lenny Bruce come un antesignato della stand-up comedy moderna? Cos’è cambiato da allora ad oggi nella comicità?

La comicità di Lenny Bruce è basata sull’attualità di quei tempi: ironizzava sui giovani, sugli omosessuali, sulle persone di colore, sugli ebrei. Lenny Bruce è stato un esempio per molti stand-up comedian a partire da Woody Allen che ha cominciato proprio così. In Italia c’è stato qualcuno che ha riscosso successo ironizzando su argomenti importanti dei giorni nostri, ma sui palchi degli stand up comedian di oggi mi pare di sentire solo molte parolacce. Anche Lenny Bruce le diceva, certo, ma avevano il preciso fine di combattere la repressione della parola. Lo devo dunque citare per far capire bene cosa voglio dire: «Prendiamo la parola Negro. Se il Presidente degli Stati Uniti apparisse in televisione e dicesse “oggi vi presento tutti i negri che puliscono il mio gabinetto” e continuasse a dire ogni giorno negro, negro, negro, negro, negro, ecco che la parola negro non significherebbe più niente, allora non vedremo più un bambino di 6 anni piangere perché qualcuno lo ha chiamato negro».  Mi sembra che oggi la parolaccia venga usata in maniera gratuita, senza un fine reale e preciso.  

Ci dobbiamo aspettare una riproposizione teatrale del celebre film di Fosse con Dustin Hoffman o c’è qualcosa di diverso?

No, il film è stato uno spunto. Con Giuseppe Pavia, che ha scritto il testo, ci siamo ispirati al percorso della vita di Lenny Bruce. Lo spettacolo ha un sottotitolo che è “ipotesi di un omicidio” perché mette in dubbio che la sua morte sia avvenuta, come dicono, per una dose eccessiva di droga. Noi facciamo intendere che la droga fosse tagliata male, appositamente per toglierlo di mezzo, perché era un personaggio scomodo. 

Lo spettacolo è ambientato in un night di New York dove Bruce andava spesso e tutto quello che si vede avviene lì dentro: le amicizie, l’amore e il difficile rapporto con il procuratore distrettuale che lo perseguita: Bruce era diventato un problema per le famiglie medie americane con determinati valori, perché attraverso quello che faceva cercava di smuovere le coscienze. 

Spesso affontava il tema della guerra del Vietnam. Un’altra battuta forte: «è che voi mi accusate perché parlo di tette e di culi e quindi che sono osceno e offensivo, ma invece la cosa oscena e offensiva è quando pubblicano delle foto dove si vedono donne in particolare con tette e culi presi a fucilate, bruciate e martirizzate dal nostro esercito dell’Americano in nome della libertà in Vietnam».  

Si parla di una scenografia mozzafiato a cura di Alessandro Chiti, puoi anticiparci qualcosa?

Non posso anticipare molto ma posso raccontare che quando mi hanno proposto l’idea di scenografia, ho detto subito sì nonostante mi avrebbe creato non pochi problemi con il montaggio delle scene. Ho pensato subito fosse una bellissima idea fuori dal comune. Inoltre ci sono dei costumi di grande impatto visivo a cura di Red Bodò con la quale collaboro da tanti anni. 

Qual è il messaggio che Lenny Bruce voleva lanciare al suo pubblico e alla società e qual è il tuo messaggio con questo spettacolo? 

Reagite! Questo era il suo messaggio! Inoltre Bruce sottolineava spesso quanto sarebbe stato meglio se tutti avessero pensato un po’ di più all’amore. C’è una battuta che non abbiamo riportato nel testo che parla dei film pornografici, di quanto fossero positivi perché va sempre tutto bene, sono sempre tutti felici e c’è sempre un lieto fine! Quindi perché condannare il porno? 

Il suo scopo era quello di sottolineare le incongruenze nella vita di tutti i giorni, nella politica, negli interessi economici dei politici che danno luogo alle guerre. Proprio come accade oggi.  

Lenny veniva arrestato sul palco per quello che diceva. Alcuni andavano a vedere i suoi spettacoli sperando che anche quel giorno Lenny venisse arrestato in diretta sul palco. C’era sempre la polizia in sala in borghese e lui diceva di accorgersene sempre perchè erano le uniche persone a non ridere alle sue battute! 

Per quanto riguarda me, quando metto in piedi uno spettacolo è perché mi innamoro del testo e della storia a tal punto da volerla condividere. Se dopo aver visto lo spettacolo ti viene vogli di approfondire, di leggere, di ricercare, allora vuol dire che ho fatto la scelta giusta. É quello che deve fare il teatro: sollecitare e solleticare la curiosità altrui. 

In scena con Antonello Avallone Riccardo Bàrbera, Giulia Di Quilio, Giuseppe Renzo, Francesca Cati, Flaminia Fegarotti

Lo spettacolo prosegue il suo viaggio dal 13 al 23 novembre al Teatro Nino Manfredi di Ostia e dall’8 al 10 maggio al Teatro Gioiello di Torino

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