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Kevin Spacey si racconta al Lucca Film Festival

Ospite internazionale, Kevin Spacey si è aperto al pubblico lucchese in una masterclass svoltasi nel pomeriggio di domenica 21 settembre.

Nella consueta location della chiesa di S. Francesco nel centro storico di Lucca, l’attore americano Kevin Spacey, onorato con il Premio alla carriera assegnato dal Lucca Film Festival, ha tenuto una masterclass in cui si è raccontato come attore e come uomo. Dagli esordi sul palcoscenico alle nuove prospettive della sua carriera e della sua vita, il due volte premio Oscar ha condiviso col pubblico storie di vita e riflessioni su cosa significhi fare l’attore.

Spacey ha raccontato che il suo primo approccio con l’arte recitativa è avvenuta da piccolo, quando scoprì di essere portato per l’imitazione delle grandi star dei film che sua madre lo portava a vedere al cinema e che questa capacità sia stata fondamentale proprio per donare un sorriso alla donna, gravata dalle difficoltà della vita.

Fu all’età di quindici/sedici anni, mentre recitava in uno spettacolo, che si rese conto che non stava solo declamando qualcosa, ma sentì che aveva instaurato una relazione tra lui e il pubblico e che fu in quel momento che capì che non voleva fare l’attore: era diventato un attore.

Una delle star che vedeva al cinema e imitava, Jack Lemmon, sarebbe diventato il mentore di Spacey. Il loro primo incontrato risale a quando, appena tredicenne, recitò un monologo in occasione di un workshop proprio di fronte al protagonista di indimenticabili classici come A qualcuno piace caldo (1959) e L’appartamento (1960). Lemmon commentò che sarebbe dovuto andare a studiare a New York per diventare un attore perché era ciò per cui era nato, e anni dopo, Spacey riuscì a strappare un’audizione per ottenere un ruolo nello spettacol Long Day’s Journey into Night e recitare a fianco del suo idolo.

Spacey si recò effettivamente a New York per studiare recitazione, venendo ammesso alla celebre Julliard School che frequentò (ma in classe di annata diversa) con l’amico Val Kilmer, sebbene non si diplomò mai. I due, che si conoscevano fin da piccoli proprio grazie a dei corsi di recitazione, debuttarono anche insieme davanti al grande pubblico in una produzione del celebre programma newyorkese Shakespeare in the Park.

Parlando dei suoi grandi successi, ha ricordato come non avesse inizialmente ottenuto la parte di John Doe nel film Seven (1995), ma alcune settimane dopo l’audizione, la Vigilia di Natale, il produttore lo chiamò dicendo che il regista David Fincher aveva appena licenziato l’attore originariamente scritturato e che nell’arco di pochissimi giorni avrebbe dovuto volare agli studios e girare le scene del personaggio che sarebbe diventato di lì a poco uno dei suoi ruoli più celebri.

Per quanto riguarda American Beauty (1999) invece, diretto da Sam Mendes, alla sua prima direzione cinematografica ma regista dalla straordinaria forza visiva per via della sua formazione teatrale, ha affermato che non dimenticherà mai la prima volta che ha letto il copione tanto ne rimase catturato, né tantomeno le successive riletture.

Ci sono state menzioni anche per la famosissima serie House of Cards (2013-2018), sostenendo che Frank Underwood sia uno dei personaggi più incredibili che abbia mai interpretato, e Margin Call (2011), che gli ha permesso di interpretare un uomo dalla grande etica in mezzo al mare degli squali di Wall Street.

Passando a una visione più personale di che cosa significhi per lui essere un attore, Spacey ha affermato che il suo lavoro di attore è servire la sceneggiatura: prendere le idee che contiene e cercare di far provare al pubblico quello che lui stesso ha provato quando l’ha letta la prima volta. Non sarebbe quindi uno storyteller, ma si definisce una chiazza di colori nel dipinto di qualcun altro.

Quando interpreta una parte, inoltre, non interpreta un’emozione o un concetto astratto come possono essere il bene e il male, ma persone che stanno attraversando qualcosa, una condizione che è al servizio della storia. E interpretando questi personaggi impara qualcosa da loro. Questo è ciò che ama del mestiere di attore.

In definitiva, il film non è mai solo “suo”, ma di tutta la compagnia che vi lavora.

A proposito di considerazioni più personali riguardo alla propria vita privata (non scevra di controversie anche piuttosto recenti), ha affermato come le sue priorità siano cambiate, e che dal desiderare di essere il miglior attore che ci sia, adesso punti ad essere piuttosto una brava persona. Grazie al suo lavoro, ogni giorno ha l’opportunità di portare un sorriso sul volto delle persone, non diversamente da quello che faceva per la madre quando era solo un bambino.

Infine, alla domanda su cosa pensi e quale sia il tipo di cinema che guarda oggi, ha risposto con un inaspettato «Mi piace fare le serate YouTube», perché spesso deluso dai lavori che vede e dunque più propenso a guardare grandi scene di vecchi film. Ma conclude col messaggio che bisogna lottare perché vedano ancora la luce grandi lavori meritevoli di essere visti e che permettano di vivere esperienze condivise.

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