Dalla guerra nucleare immaginata da Kathryn Bigelow alla rivisitazione di Lolita di Kubrick, passando per l’ingiustizia subita da Enzo Tortora raccontata da Bellocchio.
A otto anni dal suo ultimo film, Kathryn Bigelow torna in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia con A House of Dynamite, un thriller ad alta tensione interpretato da Idris Elba e Rebecca Ferguson. Il film parte da una premessa tanto inquietante quanto plausibile: due alti funzionari della Casa Bianca vengono messi di fronte a una minaccia imminente. Un missile nucleare, di origine sconosciuta, è stato lanciato contro gli Stati Uniti. Mancano solo venti minuti all’impatto. Inizia così una corsa contro il tempo per evitare la catastrofe, mentre si svela un intricato gioco di potere, segreti e responsabilità politiche.

Scena da A House of Dynamite
A House of Dynamite segna il ritorno di Bigelow per la quarta volta al Lido, dopo Strange Days (1995), The Weight of Water (2000), The Hurt Locker (2008, vincitore di sei Oscar) e Zero Dark Thirty (2012). Con questo nuovo progetto, la regista americana affronta una riflessione lucida e spietata sulla fragilità degli equilibri geopolitici e sull’ansia costante che attraversa la società contemporanea, mantenendo un ritmo serrato e coinvolgente, mescola sapientemente realismo politico e suggestioni quasi distopiche.
Tra i film da tenere d’occhio al Festival spicca L’Étranger di François Ozon, una nuova e attesissima trasposizione cinematografica del celebre romanzo di Albert Camus, già portato sul grande schermo nel 1967 da Luchino Visconti con Marcello Mastroianni.
Interpretato da Benjamin Voisin e Rebecca Marder, il film è ambientato nell’Algeria francese del 1938, alla vigilia dei grandi sconvolgimenti coloniali. In questo contesto carico di tensioni latenti — anticamera della sanguinosa lotta per l’indipendenza, raccontata anni dopo nel capolavoro di Gillo Pontecorvo La battaglia di Algeri — si svolge la vicenda di Meursault, il celebre “straniero”.
Meursault è un giovane e modesto impiegato trentenne che conduce un’esistenza apatica e distaccata, scandita da gesti ripetitivi e prive di reale partecipazione emotiva. Anche di fronte alla morte della madre, ricoverata in un ospizio, non mostra segni di dolore. Pochi giorni dopo inizia una relazione con una collega, nel tentativo di scuotersi da quell’immobilismo emotivo. Ma nella sua vita irrompe Raymond, un vicino dai traffici oscuri, che lo trascinerà in un vortice di ambiguità morali e violenza, culminando in un gesto tragico che cambierà tutto.
«Mio nonno materno – ha raccontato François Ozon – era giudice istruttore in Algeria nel 1956. Riuscì a salvarsi per miracolo da un attentato legato al movimento per l’indipendenza, evento che accelerò il ritorno della mia famiglia in Francia. Rileggendo il romanzo e consultando documenti d’archivio, ho compreso quanto sia ancora pesante il silenzio che grava sulla nostra storia comune con l’Algeria».
Fuori concorso, il Festival presenta Dead Man’s Wire, il nuovo film di Gus Van Sant interpretato, tra gli altri, da Al Pacino. L’opera ripercorre un drammatico episodio realmente accaduto che sconvolse l’America degli anni ’70. È l’8 febbraio 1977. Tony Kiritsis (Bill Skarsgård), piccolo imprenditore di Indianapolis, ha perso l’immobile commerciale su cui aveva investito ogni speranza. In ritardo con il pagamento del mutuo, si presenta negli uffici della Meridian Mortgage Company per un confronto diretto con il presidente Richard Hall Jr. (Dacre Montgomery), aspettandosi però di trovare il fondatore dell’azienda, Hall Sr., in quel momento in vacanza in Florida.
L’incontro degenera rapidamente. Kiritsis, sentendosi tradito da chi avrebbe dovuto tutelare i suoi interessi, reagisce con un gesto estremo: prende in ostaggio Hall Jr., puntandogli un fucile a canne mozze collegato al collo da un filo innescato. Nasce così un sequestro che diventa immediatamente un caso mediatico senza precedenti, trasmesso in diretta dalle emittenti locali e seguito da milioni di americani sotto shock.
Kiritsis chiede un risarcimento di cinque milioni di dollari, l’immunità totale da qualsiasi accusa e le scuse ufficiali del presidente della banca, che accusa di averlo truffato e rovinato. Dead Man’s Wire non è solo il racconto di un fatto di cronaca, ma anche una riflessione potente sulla disperazione, sull’ingiustizia percepita e sul confine sottile tra vittima e carnefice. Un film ch riporta alla luce una vicenda dimenticata, capace però di parlare ancora oggi con inquietante attualità.
E a proposito di ingiustizia, non si placano gli echi della critica e del pubblico dopo proiezione dei primi due episodi della serie televisiva firmata da Marco Bellocchio, dedicata alle drammatiche vicende di Enzo Tortora. Accusato ingiustamente di traffico di droga, il celebre conduttore di Portobello fu travolto da un processo lungo e doloroso, che si concluse con l’assoluzione dopo tre anni di calvario giudiziario. Un’esperienza devastante che segnò profondamente la sua vita, culminata con la morte, divenendo simbolo di uno dei più clamorosi errori giudiziari della magistratura italiana. Grave fu anche la responsabilità di una parte della stampa e dei media dell’epoca, che si affrettarono a sbattere “il mostro” in prima pagina, contribuendo alla gogna mediatica. La serie non solo riapre una ferita ancora viva nella memoria collettiva, ma ha scosso anche il pubblico più giovane della Mostra, molti dei quali si sono trovati per la prima volta di fronte alla cruda realtà di quella vicenda.
«Quei giudici – ha dichiarato Marco Bellocchio – non vollero mai riconoscere i propri errori». Il regista, con la sua ultima opera dedicata a Enzo Tortora, riporta alla luce una delle pagine più oscure della giustizia italiana. Portobello – ha scritto Paolo Mereghetti, decano dei critici – «racconta con forza l’Italia degli anni Settanta, evidenziando il ruolo crescente del pubblico in una televisione definita “nazional-popolare”, etichetta spesso usata con disprezzo da una certa stampa».
«Ci furono invidia, dolore e odio sociale» – ha ricordato Gaia Tortora, figlia del celebre giornalista – sottolineando quanto il caso giudiziario abbia inciso profondamente sulla vita del padre e sul clima sociale dell’epoca.
Tra le scene più discusse del film, una in particolare ha suscitato interrogativi: quella in cui il protagonista, interpretato da Fabrizio Gifuni, sembra “sniffare” qualcosa dal palmo della mano prima di andare in onda. Interpellato in merito, Bellocchio ha chiarito: «Abbiamo voluto lasciare questo dubbio. Si tratta di un elemento verosimile: Tortora faceva uso occasionale di tabacco da fiuto. È un dettaglio realistico, non un’accusa».
Ma questa scelta registica era davvero necessaria? O si tratta piuttosto di una concessione al voyeurismo, che rischia di oscurare la complessità e la dignità della figura di Tortora? Una domanda aperta, che alimenta il dibattito sull’opportunità di mostrare certi aspetti, anche se storicamente fondati, in un’opera che vuole restituire giustizia e memoria a un uomo vittima di un errore clamoroso.
Nel frattempo, alla Mostra proseguono con grande successo di pubblico le masterclass e le conversazioni ospitate al Match Point Arena, che stanno registrando una partecipazione entusiasta, soprattutto tra i più giovani. Protagonisti assoluti, i grandi nomi del cinema internazionale: da Werner Herzog a Francis Ford Coppola, da Sergio Castellitto a Margaret Mazzantini, ai premi Oscar Milena Canonero, Alfonso Curaón, Jane Campion già Leone d’Argento a Venezia nel 2021 con The Power of the Dog, fino all’icona Kim Novak.
A concludere in bellezza, il tutto esaurito registrato alle proiezioni dedicate ai classici restaurati, che hanno visto una straordinaria partecipazione di giovanissimi spettatori. Tra i titoli più applauditi, un flash speciale su Lolita di Stanley Kubrick, capolavoro del 1962 tratto dall’omonimo e controverso romanzo di Vladimir Nabokov.
Il film, interpretato da James Mason nei panni del colto e tormentato professore Humbert Humbert, racconta la sua ossessione per la giovane figlia di una vedova (Shelley Winters), interpretata dalla giovanissima Sue Lyon. Completano il cast un istrionico Peter Sellers, in uno dei suoi ruoli più camaleontici.
Lolita resta un classico ineguagliato, oggetto di numerosi remake e rivisitazioni, un film che ha anticipato e influenzato profondamente il cosiddetto “nuovo cinema americano”, segnando una svolta nella rappresentazione del desiderio, della trasgressione e del potere nelle relazioni.

L’Etranger di François Ozon
Un’opera che, ancora oggi, continua a interrogare e affascinare, soprattutto le nuove generazioni, confermandosi pietra miliare della storia del cinema.
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Foto di copertina: François Ozon – web