Dai riflettori puntati su Kim Novak, Leone d’Oro alla carriera, ai consensi per “Il mago del Cremlino”. Applausi per “The Smashing Machine” con Dwayne Johnson e commozione per “Portobello” di Bellocchio, sul caso Tortora
È stata una delle regine indiscusse dell’età d’oro di Hollywood. Questa mattina, alla Mostra del Cinema di Venezia, i riflettori si sono accesi su Kim Novak, omaggiata con un meritato Leone d’Oro alla carriera. Un tributo a una protagonista indimenticabile del grande schermo, capace di lasciare un segno indelebile nella storia del cinema.
Iconica nei panni della misteriosa bionda dagli occhi di ghiaccio in La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock, accanto a James Stewart, e indimenticabile in Picnic di Joshua Logan con William Holden, Kim Novak è stata l’emblema di un’epoca. Dotata di una bellezza magnetica e di un temperamento indomabile, ha conquistato registi come Otto Preminger, Billy Wilder e Robert Aldrich.
A 92 anni, si è presentata oggi al Lido con il suo consueto piglio battagliero, dimostrando che il tempo non ha scalfito né la sua eleganza né la sua determinazione.
«Mi sono sempre identificata nei personaggi che ho interpretato, che in un certo senso hanno riflesso la mia vita», ha raccontato. «Durante le riprese con Hitchcock, ricordo le pressioni subite dal boss della Columbia, Harry Cohn: mi costrinse a dimagrire, a decolorare i capelli e voleva addirittura cambiarmi il nome perché “Novak” suonava troppo slavo. Diceva che nessuno sarebbe andato al cinema per vedere un’attrice con quel cognome. Mi rifiutai. E il successo clamoroso del film gli diede torto».
«Mi chiamavano la ribelle di Hollywood perché ho sempre lottato per difendere la mia identità e la mia libertà». Una lezione di coraggio e coerenza, oggi più attuale che mai.
Tornando al cinema che vedremo, applausi calorosi per Jim Jarmusch, regista cult e autore fuori concorso con Father, Mother, Sister, Brother, un’opera che riunisce un cast d’eccezione: Cate Blanchett, Tom Waits e Adam Driver.
Nelle rare interviste concesse alla stampa italiana, Jarmusch ha ricordato con affetto la sua lunga amicizia con Roberto Benigni, nata ai tempi di Daunbailò (1986), in cui Benigni recitava proprio al fianco di Tom Waits.
Consensi anche per Il mago del Cremlino, adattamento dell’omonimo romanzo del politologo Giuliano Da Empoli. Al centro della scena, un intenso Jude Law nei panni di un giovane e ambizioso Vladimir Putin, ancora agente del KGB ma già proiettato verso il potere nella Russia post-sovietica.
Accanto a lui, Paul Dano interpreta Vadim Balanov, lo spregiudicato spin doctor che ne costruirà con abilità l’immagine pubblica, muovendosi tra manipolazione mediatica e strategie di potere. Un film che promette di accendere il dibattito internazionale — in attesa, chissà, di una reazione ufficiale dal Cremlino.
Oggi è il giorno di The Smashing Machine, film in concorso diretto da Benny Safdie, che porta sul grande schermo la tormentata parabola di Mark Kerr, celebre lottatore di arti marziali miste. Un biopic crudo e intenso che racconta la sua discesa negli abissi della dipendenza e la successiva rinascita, in una storia vera di forza, fragilità e redenzione.
A interpretare Kerr è uno straordinario Dwayne Johnson, in una delle prove più complesse e fisiche della sua carriera, mentre Emily Blunt veste i panni della compagna del campione. Popolare nel mondo delle MMA quanto Jake LaMotta lo fu nel pugilato, Mark Kerr era davvero una “macchina distruttrice” sul ring.
«Mark, lontano dal ring, era una persona bella e complessa, capace di affrontare gli alti e bassi della vita inseguendo il successo, anche a costo di mettere a rischio se stesso», ha dichiarato il regista Benny Safdie.
Pillole di cinema italiano con Portobello, la nuova serie TV firmata da Marco Bellocchio, che riporta alla luce uno dei più clamorosi errori giudiziari della storia italiana: il caso Enzo Tortora.
Nel 1982, il celebre giornalista e conduttore televisivo – interpretato da un intenso Fabrizio Gifuni – fu ingiustamente accusato di traffico di droga e collusione con la camorra, sulla base delle dichiarazioni di un pentito affiliato al clan di Raffaele Cutolo. Una vicenda che segnò profondamente il Paese, tra gravi responsabilità della magistratura e il sensazionalismo di una stampa troppo spesso colpevolmente complice.
Fu un vero e proprio linciaggio mediatico ai danni di un galantuomo, trascinato dal successo alla rovina. Ma dopo un calvario giudiziario durato tre anni, la Corte di Cassazione lo assolse con formula piena, restituendogli l’onore. Eletto europarlamentare nelle file dei Radicali, Tortora tornò brevemente alla guida del suo storico programma, Portobello, prima di morire il 18 maggio 1988, stroncato da un tumore.
Resta impressa nella memoria collettiva quella frase pronunciata nel suo ritorno in TV: «Allora, dove eravamo rimasti?». Una domanda che oggi suona come un monito, un invito a non dimenticare.