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Suspiria: tutti i colori di Argento

Mi vuoi uccidere! Mi vuoi uccidere! Cosa farai adesso, eh? Adesso la morte sta venendo per te! Mi volevi uccidere! L’inferno è dietro quella porta! Incontrerai la morte ora… i morti viventi!

La pioggia incessante, un atmosfera onirica ed inquieta, la fuga disperata di una ragazza tra i boschi mentre la colonna sonora dei Goblin incuba lo spazio filmico. Argento ci afferra alla gola, ci toglie il respiro, ci sussurra «c’era una volta». Poiché se é vero che le fiabe – come afferma Vladimir Propp – sono indissolubilmente legate ai riti, ad arcaiche tradizioni sacrificali e sanguigne, allora Suspiria di Dario Argento é la sua più autentica espressione. Sbocciato ed intriso di orrore sanguinario, il capolavoro del celebre cineasta sancisce la definitiva virata verso un cinema decisamente più orrorifico ed intransigente. Capostipite della trilogia delle Tre Madri, Suspiria é un’orgia visiva di pura bellezza.

Nel lungometraggio di Argento, l’orrore é fiabesco, atemporale, quasi magico. Recisa dalla realtà nutrita di razionalità e coerenza, la narrazione si dipana fluida nei parametri narrativi disposti dal cineasta. Quelle che all’apparenza sembrano slabbrature, incongruenze narrative, assumono equilibrio nel meccanismo squisitamente descritto da Argento. La violenza del film – infatti – non conosce tempo o spazio, i suoi luoghi ed i suoi personaggi appartengono ad un’altrove a noi inaccessibile ma unicamente accettabile. Stiamo assistendo ad un incubo vivido, un tripudio di luci al neon e musica sintetica dove le regole narrative si distorcono per favorire non solo le logiche della fiaba ma anche quelle del sogno. In Suspiria, insomma, tutto diviene estetica dell’orrore.

Lo spazio filmico é pulsante, incarnazione stessa della vertigine inquietante. L’accademia fagocita, sbrana, uccide più di quanto non facciano le sue personificazioni stregonesche. La sua sospensione rende possibili apparizioni ed interventi improvvisi, fa parlare di un design della paura. Gli spazi di Suspiria sono infatti eterei, poetici quanto letali. Di chiara ispirazione Art Nuveau, i luoghi inseguono un estetica rassicurante continuamente contraddetta dalle atmosfere e fatti lugubri che li abitano. Nell’accademia, l’architettura echeggia i corpi: linee curve morbidissime come quelle delle ballerine che saranno costrette a mutilazioni e sofferenze atroci. Un accanimento – quello sulla carne – non scevro di interpretazioni simboliche. In un universo dominato dal matriarcato é singolare che i decessi avvengano sovente per mano di oggetti che, nel cinema horror, alludono al maschile: vetri aguzzi che trafiggono, lame, oggetti appuntiti e di chiara ispirazione fallica. Se generare la vita é sempre frutto dell’unione di un uomo ed una donna, così lo é anche la morte.

Il matriarcato di Suspiria é soffocante e castrante, conduce le sue danzatrici a cristallizzarsi incoraggiandole ad essere immacolate. A tale proposito – oltre la già citata componente maschile – anche l’abbondante presenza di sangue é nevralgica in quanto allusiva al menarca e ad una crescita innaturalmente recisa.

Le Madri – come avviene frequentemente nei film di Argento – sono conturbanti quanto fatali. Origini della vita quanto del male. Imbevute da luci al neon rosse che faranno scuola ( si pensi a The Neon Demon, un Suspiria precedente al remake di Guadagnino ), la fiaba che le vede protagoniste é un racconto sintomatico di paure complesse quanto tangibili ossia quelle della crescita con relativa uccisione della madre come ingombro all’accesso all’età adulta.

Nel cosmo argentiano, il matriarcato permea non solo l’universo umano ma anche quello soprannaturale. L’ordine celeste mascolinamente articolato ( Padre, Figlio, Spirito Santo ) qui viene declinato al femminile: Madre Lacrimarum, Madre Sospiriorum e Madre Tenebrarum regnano cielo e terra precludendo ogni filiazione al maschile. I personaggi uomini, infatti, sono uno sparuto gruppo destinato ad esiti funesti.

A sopravvivere al massacro in quello che – figurativamente – appariva come un Eden terrestre, é perciò la sola Susy ( Jessica Harper ) destinata a svolgere un percorso di crescita che ancor di più apparenta al genere della fiaba gotica il lungometraggio di Argento. In bilico tra il viaggio dell’eroe e quello dell’eroina – come teorizzato da Vogler – Susy non solo compie un tracciato che le consente di svelare l’enigma ma uccide e si emancipa dall’egemonia materna. Appartiene a lei il compito finale di liberarsi della Madre di tutte, Helena Markos, vincerla e potersi finalmente liberare incorniciata da una pioggia che ha tutto il sapore della purificazione.

Non dimentichiamo che l’acqua ha un significato peculiare nell’ambito delle arti figurative. Sintomatica della nascita e dell’inconscio, entrambe le connotazioni convivono in Suspiria. Accolta da una pioggia battente in apertura che ne sancisce l’ingresso nella dimensione onirica e materna ( l’accademia con le sue streghe ), nel finale Susy si libera delle proprie inquietudini di freudiana memoria e dello spettro funesto, nuovamente, sotto la pioggia. Non più creatura innocente, angelica ed ignara – come in apertura – ma eroina consapevole, attiva, capace di generare vita e morte in chiusura.

Se il segmento tematico pilastro del racconto – qui brevemente trattato – é oscuro, della componente estetica Luciano Tovoli parlerà di Suspiria come un “happening cromatico iperbarocco”. Argento martella, seduce, terrorizza con i suoi colori corredati da un altrettanto suggestivo commento musicale in perfetta sinestesia. La fotografia satura, sancisce fin da preludio l’ingresso in una dimensione altera e funge da interprete agli umori del film. Attraversando campiture cromatiche che spaziano dal rosso al blu fino al verde, l’utilizzo plastico che Tovoli e Argento effettuano del colore é di chiaro rimando espressionista. Evidente, inoltre, é la lezione di Bava che con l’utilizzo del colore in chiave simbolica.

Le ampie porzioni di rosso che affrescano il film – oltre a configurarsi come l’impossibilità dell’emancipazione – sono sintomatiche della malvagità, del sangue e del pericolo laddove il blu, anticamera delle tinte vermiglie, si propone come una facciata di rassicurante e solo apparente calma. Sovente in aperto contrasto con il rosso, é spesso utilizzato nei momenti topici del film proprio per rappresentare il contrasto tra forze benigne e maligne. Infine il verde: campitura cromatica associata alla conoscenza come avviene nella sequenza in cui Sara e Susy finalmente si apprestano alla verità.

Una giostra cromatica, quella del lungometraggio argentiano, che plasmano un incubo poliedrico e femminile. Suspiria, nonostante la sua età, rimane una delle vette incontrastate e di più limpida bellezza nella filmografia di Dario Argento. Sanguinario, eccessivo, rutilante nei suoi eccessi visivi é una fiaba da cui amiamo farci terrorizzare ogni volta.

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Suspiria – Regia: Dario Argento, Soggetto: Daria Nicolodi e Dario Argento, Sceneggiatura: Daria Nicolodi e Dario Argento, Cast: Jessica Harper, Stefania Casini, Barbara Magnolfi, Alida Valli, Joan Bennett, Flavio Bucci, Miguel Bosè, Renato Scarpa, Franca Scagnetti, Jacopo Mariani, Fotografia: Luciano Tovoli, Montaggio: Franco Fraticelli, Scenografie: Giuseppe Bassan, Costumi: Pierangelo Cicoletti, Musiche: Goblin con la partecipazione di Dario Argento – Uscita nelle sale: 1 febbraio 1977

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