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Fiore Immolato: La Traviata alle Terme di Caracalla

Il corpo femminile e le crepe della malattia e della psiche in questo adattamento della regista slovacca Sláva Daubnerová.

A dominare la scena un maestoso e gigantesco oggetto scultoreo raffigurante un corpo femminile idealizzato che evoca le statue della classicità e che con le sue insenature racconta una storia di corrosione e deterioramento, dove l’amore non è che l’ultimo tentativo di fuga dalla fauci della morte, un’illusione fugace di bellezza e senso che si sgretolerà nell’ultimo canto disperato di una donna che desidera con tutta se stessa vivere. Tra avanguardia e metafisica vanno in scena i misteri e i tormenti della femminilità in uno scenario spoglio di ornamenti, essenziale e surreale. La scenografia è infatti moderna e minimalista, abitata da oggetti di scena che rimandano al settore medico, come le aste per la flebo o i letti d’ospedale. Vige un rigore formale estremo che contribuisce a creare un’atmosfera asettica e raggelante. Costumi e ambientazione vogliono suggerire un connubio tra periodo ottocentesco e modernità che si fa veicolo di un significato chiave: di epoca in epoca la donna resta soggiogata al potere maschile, nulla cambia.

Corinne Winters, ph Fabrizio Sansoni, Teatro dell’Opera di Roma

A interpretare quasi tutte le sere Violetta è Corinne Winters (Hasmik Torosyan 1,3 agosto), soprano statunitense di fama internazionale, raffinata interprete che incanta il Caracalla Festival 2025 con una performance ammaliante e intensa, sia sul piano vocale che espressivo. La sua Violetta è una guerriera combattuta tra dissolutezza e romanticismo, dinamica e risoluta, ma logorata da malesseri e spasmi. Lotta per la vita, ma il suo corpo non la supporta e la tradisce lasciando trasparire tutta la delicatezza di questo fiore prossimo alla fine.

L’accento è proprio sul corpo di Violetta, rappresentato non solo da Corinne Winters, ma anche dalla grande statua, che a sua volta diviene simbolo del femminile ferito, sofferente, moribondo. Così l’oggetto scultoreo crea un effetto di ingrandimento, come uno zoom sul focus centrale di questa versione, e una sensazione di immersione nella corporeità di Violetta e di riflesso nella sua anima tormentata di prostituta e donna in disgrazia. Gli stessi personaggi maschili, in particolare Alfredo, si relazionano con questo simulacro. “Qui presso a lei io rinascer mi sento” e “Io vivo quasi in ciel” sono pronunciate da Alfredo a contatto con il seno della statua, come se tutto e tutti in quest’opera trovassero la propria ragione d’essere solo nella matrice del corpo della protagonista e della sua psiche. Un corpo che contiene in sé il cuore di questo adattamento: la prossimità alla morte e il turbamento che ne deriva. La malattia di Violetta si dispiega in tutta la sua potenza in una sorta di autopsia del femmineo. In contrasto con le melodie regolari e ritmicamente prevedibili di Germont padre, che alludono a una mentalità tradizionalista e rigida, la scrittura del personaggio di Violetta è movimentata e ricca di straordinarie sfumature, così da enfatizzarne la fragilità emotiva e fisica e tutte le venature emotive che si agitano nel suo cuore di donna.

Tante le idee adottate da Sláva Daubnerová per raccontare questo lancinante dolore fisico ed emotivo: la sigaretta per simboleggiare un atteggiamento autodistruttivo; la balestra come arma che ferisce Violetta, ovvero quella società maschile e patriarcale che la imprigiona in un ruolo che non le appartiene; l’asta dei suoi beni, consegnati al migliore offerente per finanziare un ultimo disperato sogno d’amore; la costante presenza di elementi funebri e personaggi vestiti a lutto. Così tra le righe Libiamo, ne’ lieti calici diventa più che un inno alla spensieratezza una commemorazione funebre che prelude al finale, perché i punti di vista di fatto sono due, quello di Violetta e i personaggi citati nell’opera e quello della massa-coro a lutto che evoca il futuro di Violetta stessa. In fondo tutta la sua vita, ispirata alla storia vera di Alphonsine Plessis, non è altro che una lunga marcia verso la morte. Un corpo martoriato dalla libido maschile che non trova altra modalità di sopravvivenza che accettare le spietate regole del gioco e vivere nella paradossale e controversa condizione di abnegazione della prostituzione.

Un forte valore simbolico è ricoperto dai ballerini del Teatro dell’Opera di Roma, diretti dal coreografo Ermanno Sbezzo. Tra di essi spicca fin dall’apertura una figura dell’immaginario collettivo, la Morte (Alessio Rezza, Michele Satriano) e altre due tipiche del balletto: il cigno bianco (Federica Maine) e il cigno nero (Alessandra Amato). I due cigni dialogano tra loro in una danza in cui la parte di Violetta predisposta all’amore, al sacrificio e alla purezza si alterna al suo lato oscuro di cortigiana seduttrice devota al vizio. I due cigni si muovono in modo scoordinato per simboleggiare la frammentazione e disfunzionalità di un corpo malfunzionante che non risponde più agli stimoli della mente e del cuore.

Interpretato da Piotr Buszewski (Oreste Cosimo 1, 3 agosto), Alfredo resta sullo sfondo sul piano emozionale. Il pubblico non è invitato a empatizzare con lui, perché per la regista questa non è una storia d’amore ma un racconto di forza e vulnerabilità femminile, dove è protagonista esclusivamente la donna. Pertanto, nonostante le voci di Alfredo e Violetta si intreccino tra loro nelle magiche musiche de La Traviata di Giuseppe Verdi, manca vera chimica tra i due protagonisti. Alfredo anche è mostrato nella sua fragilità, ma questa volta in modo volutamente svilente. Non è lui che abbraccia Violetta in Amami Alfredo, ma lei che accasciati a terra tiene lui fra le braccia come una madre un bambino, scena che evoca La Pietà di Michelangelo. La Daubnerovà gli fa persino mettere le mani al collo di Violetta, evocando le tragiche cronache di femminicidio e violenza fisica. D’altro canto a controllare il carattere volubile di Alfredo vi è il padre, posato e autoritario, interpretato dal baritono Luca Micheletti (Gustavo Castillo 27 luglio, 2 agosto), che riesce a essere credibile e incisivo nella sua severità.

Corinne Winters e Piotr Buszewski, ph Fabrizio Sansoni, Teatro dell’Opera di Roma

Una messa in scena austera che punta a smussare l’amore romantico ottocentesco a favore di un’ottica femminista che mette in risalto l’interiorità della donna e il suo conflitto con la precarietà della vita e con una società patriarcale che giudica e opprime.

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CARACALLA FESTIVAL 2025 “TRA SACRO E UMANO”

La Traviata – Opera in tre atti di Giuseppe Verdi- Libretto di Francesco Maria Piave da La Dame aux Camélias di Alexandre Dumas figlio – Direttore Francesco Lanzillotta – Regia Sláva Daubnerová – Maestro del Coro Ciro Visco – Scene Alexandre Corazzola – Costumi Kateřina Hubená – Coreografia Ermanno Sbezzo – Luci Alessandro Carletti – Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma – Terme di Caracalla dal 19 luglio al 3 agosto 2025

PERSONAGGI E INTERPRETI:
Violetta Corinne Winters / Hasmik Torosyan 1, 3 agosto
Alfredo Piotr Buszewski / Oreste Cosimo 1, 3 agosto
Germont Luca Micheletti / Gustavo Castillo 27 luglio, 2 agosto
Flora Maria Elena Pepi
Annina Sofia Barbashova
Il barone Douphol Roberto Accurso
Il marchese d’Obigny Alejo Alvarez Castillo
Il dottor Grenvil Mattia Denti
Gastone Christian Collia
Giuseppe Enrico Porcarelli
Un domestico Massimo Di Stefano
Un commissionario Andrea Jin Chen

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