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Riflettori sulla “Napoli spettacolare”

Capitale del palcoscenico: dalla tradizione ottocentesca alla rinascita culturale tra cinema e nuovi media

Ci fu un tempo, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, in cui Napoli, considerata una delle città più ricche dal punto di vista culturale, divenne la patria indiscussa del teatro. Fin dalle sue origini, il teatro aveva costituito un momento di forte aggregazione sociale e culturale, una forma espressiva in cui la gente poteva condividere esperienze e idee. La situazione teatrale napoletana ottocentesca era condizionata, oltre che dai controlli delle autorità, anche da una divisione attuata da un decreto murattiano emesso nel 1811 che stabiliva la divisione dei teatri in due classi: la prima era riservata ai teatri prestigiosi, dove si esibivano compagnie accreditate e riconosciute, la seconda, invece, era rivolta a quelle sale popolari gestite da compagnie di “principianti”.

Però, la grande quantità di teatri presenti sul territorio rese difficile, se non impossibile, attuare questa netta divisione. Infatti, ad eccezione dei Reali Teatri (il San Carlo e il Teatro del Fondo), del Fiorentini, del Nuovo e del S. Ferdinando, Napoli era popolata da una miriade di teatrini, casotti, baracche, semplici locali adibiti a luoghi di spettacolo, circhi equestri, anfiteatri; insomma tutti spazi teatrali destinati a compagnie di vario livello artistico e ad un pubblico sempre più crescente e interessato. Il teatro diventò non solo una forma di comunicazione artistica, ma anche una grande fonte di guadagno e, per questo motivo, a Napoli vi erano oltre 300 “location” teatrali, molte delle quali erano locali stretti e angusti che costringevano il pubblico a riversarsi nelle vie o sulle piazze adiacenti per assistere alle rappresentazioni. 

Queste forme di spettacolo costituirono la maggior parte della produzione teatrale dell’Ottocento napoletano; un genere di rappresentazione popolare che fu poi gestito dalle grandi famiglie di comici, funamboli, pupari, cavallerizzi come i Cammarano, gli Zampa, i Petito, i De Simone, i Guillaume, i Balzano, i Viviani, gli Scarpetta. Nel Novecento tutto questo non cambiò. Con l’avvento dei Cafè chantant, spettacoli di “arte varia” parigini arrivati prima a Napoli e poi nel resto d’Italia, i teatri e i locali cittadini (sale concerti, alberghi, bar, ristoranti, birrerie, cinema) offrivano palchi e pedane a spettacoli musicali, canori e comici; una tradizione culturale e imprenditoriale che continuò anche con altre forme di spettacolo del tempo quali la rivista e l’avanspettacolo.

Napoli, ancora oggi, conta numerosi teatri: di certo le sale presenti sul territorio non sono tante come allora, ma il capoluogo campano continua a esprimere una vivacità culturale sorprendente, confermandosi anno dopo anno come una capitale del teatro. E non solo del teatro. Negli ultimi anni, il cinema ha ritrovato una dimensione congeniale in quel caotico e policromo dedalo di strade che è il centro storico della città. Nel suo cuore antico colori, suoni e odori danno vita a una magia irresistibile che avvince e abbacina. Seducente e ammaliante, Partenope ha stregato spesso l’occhio della macchina da presa. Per non parlare, poi, dei contributi della serialità televisiva e dei nuovi media: un cosmo composito, rivolto anche alla letteratura e al teatro, in grado di ridefinire ulteriormente l’immagine di Napoli e della Campania (si veda Visioni a Sud. La narrazione audiovisiva della Campania di Lucia Di Girolamo, Liguori, Napoli 2024). La tradizione teatrale e cinematografica napoletana è ancora ricca di commedia, dramma e musica, e continua ad essere un’importante forma d’arte per la città.

Foto di copertina: Il Teatro San Carlo

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