Il debutto al Teatro Roma di “Si vede che era destino”, una commedia di Luca Giacomozzi, diretta da Francesca Nunzi.
Ci sono battute che, per quanto “stantie”, riescono comunque a strappare un sorriso se pronunciate con la giusta spontaneità. Possono trasformarsi in una forma di comicità, certo non raffinata; ma genuina: una comicità di “costume”, popolare, che si nutre del linguaggio quotidiano e del carattere immediato dei suoi interpreti. Tuttavia, quando questa stessa comicità viene traslata dal contesto ordinario a quello teatrale, rischia di perdere freschezza; diventare prevedibile e, in alcuni momenti, perfino stucchevole. Ed è proprio questo l’errore in cui cade il debutto di Si vede che era destino, che non riesce a mantenere vivo il ritmo comico nel passaggio dalla battuta spontanea al meccanismo teatrale.

Ma facciamo, per un momento, un passo indietro.
All’apertura del sipario, lo spettatore si ritrova di fronte ad una scenografia intima e domestica, essenziale; ma arricchita da alcuni elementi eclettici che oscillano tra lo stile anni ‘70 e quello contemporaneo. In scena, Massimiliano (Attilio Fontana), il protagonista, che sarà ben presto vittima di una serie di impacciate vicissitudini che lo condurranno ad un momento cruciale della sua esistenza. Ad affiancarlo, così da formare un trio: l’istrionico e maldestro Damiano (Emiliano Reggente), suo fratello, e l’esuberante Tamara (Claudia Ferri), la ballerina – affetta dalla sindrome di Tourette – ingaggiata da Damiano come sorpresa per l’addio al celibato del futuro sposo.
Il flusso narrativo procede in modo piuttosto lineare; ma senza veri colpi di scena (se non alla fine del primo atto), da cui ne deriva un appesantimento della struttura drammaturgica e un progressivo raffreddamento dell’effetto comico. L’improvvisa perdita di memoria di Massimiliano, causata da un’accidentale caduta, si trasforma nel motore di un’indagine interiore che, però, tarda a prendere forma. Il primo atto – come anche per gran parte del secondo atto – difatti, risulta eccessivamente didascalico e pedissequo anche nella sua costruzione dialogica, rallentando, pertanto, l’emergere del nucleo tematico più profondo.
Lodevole, nonostante ciò, la scelta del focus tematico: la riscoperta di sé; il coraggio di rinascere; l’incontro – o il confronto – con il bambino che abita in ciascuno di noi. Che si tratti di chi lo ha dimenticato o di chi, per paura, gli ha lasciato troppo spazio, la lezione è imparare a camminare accanto a quella parte fragile e autentica, verso un domani più consapevole; più maturo.

Purtroppo, questa riflessione esistenziale resta in ombra per buona parte della pièce, affiorando solo nell’atto conclusivo e forse in modo troppo frettoloso. Il testo e la drammaturgia, in questo senso, finiscono per appiattirne il potenziale, restituendo un’elaborazione che, ancora una volta, risente di una certa rigidità strutturale. Nel complesso, una messinscena gradevole, che intrattiene, ma che potrebbe crescere sensibilmente con un lavoro più incisivo sulle scelte registiche e sulla densità drammaturgica.
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Si vede che era destino – Di Luca Giacomozzi. Regia:Francesca Nunzi. Con: Attilio Fontana, Claudia Ferri e Emiliano Reggente – Aiuto regia: Francesca Pausilli – Scene: Michele Funghi – Costumi: Barbara Ninetti – Audio e Luci: Marco Altini – Produzione: Futura Srl – Teatro Roma, dal 9 al 18 maggio 2025.
Immagine di copertina: Emiliano Reggente, Attilio Fontana e Claudia Ferri – Foto di ©Enzo Maniccia