In scena alla Sala Umberto una commedia avvincente che riflette sullo scopo dell’arte e la libertà del gesto creativo.
L’arte specchio della verità o ideale per elevarsi e aspirare al meglio? E chi stabilisce quale sia l’essenza del miglioramento? A Mirror – Uno spettacolo falso e non autorizzato mette in scena un gioco metateatrale perfetto ed ingegnoso, una comicità esilarante che si apre a profonde riflessioni estetiche.
La celebrazione del matrimonio di Nina e Leo viene bruscamente interrotta da una notizia inaspettata: è tutta una finzione, organizzata da una compagnia teatrale per sfuggire alla censura di uno stato totalitario dove ogni opera d’arte deve essere approvata dal Ministero della Cultura.
Il pubblico è chiamato in causa e invitato a far parte di un’illusione scenica tutta basata su meccanismi metateatrali coinvolgenti.
È finzione nella finzione infatti, dove gli attori reali (Ninni Bruschetta, Claudio ‘Greg’ Gregori, Fabrizio Colica e Paola Michelini) interpretano degli attori che a loro volta, dopo aver ingannato il pubblico con un finto matrimonio, mettono in scena uno spettacolo basato su una storia vera nell’ambito della diegesi, ma di fatto altrettanto fittizia. Lo spettatore si ritrova così a far parte di un gioco dei ruoli dove egli stesso interpreta un ruolo, quello di un pubblico che sta assistendo a uno spettacolo non autorizzato e a cui è illecito prendere visione. Tutto questo groviglio di personaggi e situazioni non è fine a se stesso, ma funzionale a portare avanti una riflessione estetica basata sulla contrapposizione di due intenti artistici differenti: uno è l’aderenza alla realtà, che implica una descrizione nuda e cruda dei fatti, senza che si edulcori o abbellisca in alcun modo la verità; l’altro è la ricerca del bello e la propensione a idealizzare la realtà e crearne una alternativa che elevi lo spirito e motivi lo spettatore. Questa seconda inclinazione è in parte associata alla deriva propagandistica dei regimi totalitari, dove l’arte è asservita al compito di veicolare messaggi che in modo subdolo e occulto inculchino nello spettatore gli ideali del governo in questione. Inoltre il totalitarismo esercita un controllo sostanziale su come la realtà deve essere mostrata e ciò determina un processo di selezione in ciò che è opportuno e ciò che è pericoloso e contro lo Stato.
Tuttavia il discorso va oltre l’oscurantismo della censura e coinvolge il concetto di arte nella sua totalità. L’arte deve rispondere all’esigenza di indurre alla speranza e avvicinare all’assoluto attraverso la rappresentazione del bello o, viceversa, descrivere la realtà per quello che è e accoglierne lo squallore, includendo anche la volgarità? Una questione estetica non di poco conto a cui A mirror non può certo avere la presunzione di rispondere definitivamente, ma tuttavia avanza delle riflessioni spezzando una lancia a favore della messa in scena della verità, come atto di libertà, sorgente di emozioni destabilizzanti e angoscianti che porterebbero a un’emotività più forte.
Una presa di distanza dai canoni basici della narrativa e dal viaggio dell’eroe, a cui nello spettacolo si fa riferimento più volte. A mirror suggerisce degli spunti attraverso delle provocazioni che vanno prese come stimolo per un maggiore approfondimento e non come risposta risolutiva. Infatti è provocatorio e ingenuo asserire che una narrazione che risponda completamente agli stilemi del viaggio dell’eroe sia meno intensa emotivamente di un approccio realista, così come va notato che la realtà che si decide di raccontare è frutto di una selezione che individua una volontà, più o meno cosciente, dell’autore. D’altra parte la “beffa” che lascia riflettere su quanto l’assunzione del realismo a stile privilegiato sia da prendere con le pinze è proprio la natura onirica e metateatrale di A mirror, che certo non si può definire un’opera neorealista.
Fondamentale è la libertà del gesto artistico, che non deve essere vincolato né alla politica né alle norme sociali dominanti. Dunque quale che sia lo stile scelto, l’artista deve rivendicare la propria libertà di espressione e combattere la dittatura ideologica del proprio tempo, arrogandosi il diritto di mostrare la realtà politica e sociale per quello che gli appare.
Questa spregiudicata e cupa commedia è stata scritta da Sam Holcroft e portata ora in Italia dal regista Giancarlo Nicoletti. Un mix di thriller, commedia e distopia, avvincente e rocambolesco, pieno di sotterfugi e colpi di scena. Gli interpreti sono fenomenali, a partire da Ninni Bruschetta in un ruolo ambiguo e singolare, che con autorevolezza e pomposità espone le istanze classiche della narrativa, da una parte inneggiando allo Stato totalitario, dall’altra leggendo segretamente Shakespeare. Dietro eleganza, cordialità e sorrisi amichevoli si nasconde un abile manipolatore arrivista. Greg varca egregiamente la scena con l’atteggiamento borioso e arrogante del suo personaggio principale, un artista che è sceso a patti con il diavolo e cerca di ignorare la propria coscienza. Paola Michelini illumina il palco con l’incantevole semplicità e apparente ingenuità di un ex soldato dai modi inizialmente rigidi e una pessima capacità di leggere i copioni con la dizione corretta, che quando si lascerà andare perderà ogni freno inibitorio.
Fabrizio Colica è esilarante nella sua timidezza riflessiva e nelle sue risposte schiette e Gianluca Musiu sorprende nel finale con una parte viscida e diabolica.
Caratterizzata dal fascino pirandelliano, l’ironia tagliente e l’inquietudine moderna, A Mirror è una commedia dal retrogusto amaro assolutamente seducente che sarà in scena alla Sala Umberto fino al 30 marzo.